Dopo la marcia trionfale successiva alla fragorosa vittoria ottenuta nelle votazioni di giovedì, Boris Johnson ha la possibilità di trasfigurare la Gran Bretagna a sua immagine e somiglianza. La maggioranza parlamentare che non necessità di accordi con altri partiti per governare permette al partito conservatore di portare a compimento l’uscita dall’Unione europea senza dover fare affidamento sulle minoranze che siedono a Westminster. Discorso analogo per le dottrine economiche dei Tories, che possono essere approvate in un ambiente dove i laburisti non hanno sostanzialmente nessuna voce in capitolo.
Il popolo britannico si è affidato totalmente a Johnson dando al partito conservatore un potere assoluto, limiti costituzionali esclusi. A questo onere, seguono però delle grandi responsabilità: se il Regno Unito riuscirà a rilanciare la propria economia e la propria forza contrattuale a livello internazionale, il governo di Johnson sarà un trionfo. Viceversa, sarà l’unico responsabile del disastro socio-politico che si sarà creato, in un panorama dove le vie di mezzo sono state eliminate dallo scroscio elettorale che ha investito la Gran Bretagna.
L’indipendenza della Scozia
In campagna elettorale Johnson si è guardato bene dal discorso dell’indipendenza scozzese, cercando di evitarlo per quanto possibile anche durante la campagna elettorale nel Nord dell’isola. Le sue posizioni unitarie sono sempre state note, ma la possibilità di cadere in una condizione di Hung Parliament dopo gli ultimi exit poll avrebbe potuto obbligare il leader conservatore ad accordarsi con altre forze di governo. In questo scartato scenario, l’alleanza con gli indipendentisti scozzesi del Snp poteva essere l’unica soluzione che avrebbe dato qualche frutto: Londra fuori dall’Europa, a patto che Edimburgo potesse uscire dal Regno Unito. Una decisione drastica, ma unica de facto attuabile per garantirsi il potere.
Dopo l’incontro avvenuto nella giornata di venerdì con il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon, Johnson ha ribadito la sua contrarietà ad un nuovo referendum sulla questione della scissione del Regno; il popolo scozzese aveva già ottenuto la possibilità di scegliere nel 2014 e il voto si concluse con un remain. In questo delicato momento per Londra gli interessi primari provengono dalla Brexit; nell’ottica di accrescimento del potere del Regno Unito a livello internazionale la sua solidità interna è di vitale importanza; la Scozia in tutto questo svolge un ruolo centrale nei piani dei tories. Secca tuttavia la risposta di Sturgeon, che a seguito del colloquio ha richiesto al nuovo primo ministro britannico di rispettare le volontà dei cittadini, come loro rispettano il suo ruolo di comando. I 48 seggi conquistati sui 59 che porta a Westminster la Scozia sono un chiaro segnale delle volontà di Edimburgo, che il governo britannico non può e non deve ignorare.
Gli accordi per la stabilizzazione dell’Irlanda del Nord
Oltre alla gestione scozzese, un’altra tematica tiene banco nel mondo britannico e nonostante interessi un numero minore di cittadini rischia di diventare (o meglio, tornare) una bomba ad orologeria nella mani del primo ministro: la questione irlandese. A differenza della Scozia una particolare importanza è ricoperta dal tema della Brexit, considerando l’unicità dell’Irlanda del Nord: possiede l’unico confine terreste di tutta la Gran Bretagna. Motivazione che spiega in modo molto preciso come mai le circoscrizioni vicine a Belfast abbiano preferito i candidati unionisti del Dup (favorevoli ad una soluzione di uscita estrema dall’Ue) mentre le contee di confine si siano gettate tra le braccia del partito cattolico dello Sinn Fein. Per la prima volta, i seggi conquistati dal Partito Unionista hanno superato soltanto di uno quelli dell’opposizione, segnando un risultato storico nel Paese.
Dopo la vittoria, Johnson e Leo Varadkar hanno avuto un colloquio telefonico, nel quale si sono ripromessi di collaborare affinché la situazione dell’Ulster britannico non degeneri. Le preoccupazioni del leader britannico sono soprattutto rivolte ai comparti produttivi di Belfast che, in caso di accordo sfavorevole, potrebbero scegliere Dublino come prossima sede sociale, continuando così ad operare dall’interno dell’Unione europea. Affinché ci sia cooperazione, Varadkar dovrebbe cercare di disincentivare la transumanza, dando il tempo necessario ai conservatori di dirimere la questione.
Dopo la vittoria e dopo i festeggiamenti, da lunedì il nuovo governo inglese dovrà mettersi al lavoro. Senza perdere di vista il tema primario sulla quale si sono giocate queste elezioni, ovvero la Brexit, un’occhio deve essere tenuto sulle questioni interne. Il filo che separa il successo dal fallimento di Johnson è molto sottile e sarà giocato nei prossimi anni anche e soprattutto su queste tensioni; mentre per la Brexit si spera di chiudere entro la prima metà del prossimo anno.