Certi Stati americani quasi mai finiscono nei radar della politica. Non solo di quella internazionale, ma anche di quella nazionale. Troppo spesso le esigenze dei piccoli Stati, così singolari, vengono schiacciate dagli interessi di colossi come California, Texas e New York. Ci sono però delle circostanze nelle quali uno stato diventa centrale più di quanto il suo peso in campo economico e demografico vorrebbe. In questo caso lo stato in questione, il West Virginia, è quello che più di ogni altro ha i tratti della marginalità: è il secondo stato più povero d’America dopo il Mississippi, con il 19% di persone che vivono al di sotto della soglia di indigenza stabilità a livello federale. E anche lo Stato che si sta spopolando più in fretta: dal 2010 al 2020 ha perso il 3,2% della popolazione, pari a circa 35mila persone. Un territorio, sito nei monti Appalachi, che è diventato simbolo di povertà e di marginalizzazione, anche per la sua economia che a lungo è stata basata sul legname e sull’estrazione di carbone. Così dovrebbe essere anche a livello politico. Ci sono state però una serie di fortunate circostanze.

Joe Manchin, la spina nel fianco della Casa Bianca

Il senatore Joe Manchin, democratico che si autodefinisce “conservatore”, è stato rieletto per una manciata di voti nel 2018, dopo che due anni prima il West Virginia aveva dato 23 punti di vantaggio a Donald Trump su Hillary Clinton. In un Senato equamente diviso tra 50 democratici e 50 repubblicani, con il voto di Kamala Harris a rompere in caso di parità, il consenso di Joe Manchin è più importante di quello del leader repubblicano Mitch McConnell. E allora eccolo mettersi di traverso sull’aumento di tasse alle corporation dal 21 al 28% proposto nell’American Jobs Plan: “Basta il 25%”.

Non solo: se una candidata a dirigere l’ufficio budget come Neera Tanden non si è comportata bene con alcuni suoi colleghi centristi del partito avversario twittando insulti nei loro confronti? Pollice verso e la nomination salta. Crede che un assegno settimanale di aiuto per il Covid da 400 dollari sia troppo? Lo fa ridurre a 300. Lo fa per mantenere un clima costruttivo di bipartisanship, dice. Gli avversari repubblicani lo definiscono un finto centrista, in realtà prono all’agenda di “sinistra radicale” del presidente Biden, mentre gli avversari interni progressisti sognano di sostituirlo con le primarie nel 2024. Ma sanno benissimo che nessun altro democratico, oggi, può vincere in West Virginia, lo stato che forse più di tutti ama l’ex presidente Donald Trump per le promesse (non mantenute) di rilancio del consumo di carbon fossile. Ma cosa c’è di vero oltre questa cortina fumogena dei media? Bisogna scandagliare prima la storia del West Virginia e poi quella personale di Joe Manchin, per capirlo.

Quell’America rurale abbandonata dai dem

Fino al 1863 era la parte montuosa e mineraria della Virginia, lo stato dei piantatori schiavisti che aveva dato la nascita a due Padri Fondatori come George Washington e Thomas Jefferson. In quell’anno venne ammesso come nuovo stato, staccandosi dalla Virginia aderente alla Confederazione sudista. Uno stato quindi che nasce in piena guerra. E che negli anni successivi diventa fondamentale per le fabbriche del Nord, grazie all’attività estrattiva nello Stato. Dopo la Grande Depressione, le lotte sindacali dei minatori trovano una sponda nella Casa Bianca e nella presidenza di Franklin Delano Roosevelt: il New Deal porta diritti e una sicurezza mai vista prima. Il presidente diventa un’icona. Per il professor Lou Martin, docente di storia alla Chatham University di Pittsburgh, è l’inizio di un sodalizio di successo: “Il partito democratico divenne un’istituzione dagli anni ’40 fino agli anni ’80, grazie alla sua partnership coi sindacati”. Negli anni successivi, spiega Martin a InsideOver, è successo qualcosa: “la prima crisi del carbone ha portato a un crollo delle iscrizioni nelle organizzazioni dei lavoratori e nel contempo i democratici, sull’onda del reaganismo, hanno abbracciato il liberoscambio e la deregulation, che hanno mandato in rovina diversi centri minerari e industriali”.

Uno spot di Joe Manchin contro la riforma delle armi da fuoco

In questo non c’entra solo il partito democratico dello Stato, ma anche quello federale: “Negli ultimi decenni hanno celebrato molto i successi e la diversità dei centri urbani in America, così molti lavoratori delle aree rurali si sono sentiti trascurati e dimenticati”. Ma Joe Manchin non è come tutti gli altri, è un democratico molto diverso. Di origini italiane (il suo cognome originario sarebbe Mancini), viene eletto per la prima volta nella Camera statale nel 1982, all’età di 35 anni. Per conoscerlo meglio bisogna chiedere lumi a un osservatore sul campo come il professor Hal Gorby, esperto di storia del territorio degli Appalachi e docente presso la West Virginia University: “Joe Manchin è sempre stato un conservatore moderato. In quegli anni ha cercato di riformare il welfare statale e i sussidi di disoccupazione usando argomenti probusiness. Ma quando questo andava a ledere l’interesse dei suoi elettori, si opponeva: nel 1990 ha impedito la vendita dei negozi di alcolici di proprietà statale e la cessione ai privati di diversi ospedali pubblici”. Insieme a questo, non ha mai nascosto la sua vicinanza al mondo pro-life: nel 1996 viene sostenuto alle primarie democratiche contro Charlotte Pritt, senatrice liberal, dalla Christian Coalition, dai West Virginians for Life e dalla National Rifle Association. Non bastò, ma la sua avversaria perse le elezioni generali.

Dal carbone alla banda larga: la battaglia con Washington

Anche al Senato ha mantenuto questo atteggiamento ondivago, ma, spiega Gorby a InsideOver: “Questo può irritare i progressisti, ma non avrebbe l’influenza che ha ottenuto se si fosse comportato in modo più ortodosso”. Per il resto è un politico vecchio stampo: risponde a tutte le lettere, email o messaggi in segreteria che il suo ufficio riceve per aiutarli sulle pensioni, sulla connessione a banda larga e altri tipi di benefit. Ha una personalità molto amichevole e questo “lo aiuta a trovare una larga base negli elettori, siano essi democratici, repubblicani o indipendenti”. E poi ovviamente c’è il carbone, che Manchin sostiene. Scontrandosi in modo vigoroso con la linea del suo partito. Durante uno dei suoi primi interventi al Senato, dopo che nel 2010 subentrò al decano democratico Robert Byrd, ex segregazionista e in carica dal 1959, dichiarò: “Vogliamo non essere più dipendenti dal petrolio estero e poter contare sul nostro carbone”.

Se indubbiamente c’era della retorica in quell’intervento, comunque questo mood lo ha aiutato a tenere buoni rapporti con la sua collega repubblicana Shelley Moore Capito, con la quale lavora in relativa armonia per gli interessi del West Virginia. Anche se, aggiunge il professor Martin “in realtà il carbone non è più così importante come un tempo: conta molto di più il settore dei servizi e della sanità. Il maggior datore di lavoro dello Stato è il sistema sanitario della West Virginia University”. Ma al netto della retorica, quali sono le idee di Manchin e del governatore Jim Justice, ex democratico diventato repubblicano, sullo sviluppo dello stato?

Per Hal Gorby, questo spiega la sua posizione sulle tasse alle corporation: “Da governatore aveva sviluppato provvedimenti per attirare le imprese: un netto taglio all’imposta sul reddito delle imprese ed eliminando la tassa statale sui capitali. Ma questo non ha funzionato”. C’è anche un lato oscuro in tutto questo, per Lou Martin: “Questi tagli hanno un costo sociale elevato: le scuole pubbliche sono sottofinanziate e anche un programma per combattere la dipendenza da oppioidi sta per venire ridimensionato. Ma al momento non ha funzionato”. Questo è stato riconosciuto anche da Joe Manchin, che nel suo negoziato col presidente Joe Biden ha un solo obiettivo: portare investimenti pubblici in West Virginia per favorire le connessioni a banda larga dei lavoratori da remoto. Ma dovrà farlo senza sembrare troppo progressista. Un filo sottile che al momento, è l’assicurazione sulla vita sul “più centrista dei senatori”, per citare una definizione usata dalla Cbs.

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