Joe Biden ha prestato giuramento davanti al Campidoglio di Washington intorno alle 17.45 di stamane, diventando ufficialmente il 46esimo presidente degli Stati Uniti in una cerimonia molto contenuta per via delle restrizioni covid. Biden ha giurato davanti al presidente della Corte suprema John Roberts, su una vecchia bibbia di famiglia (127 anni) tenuta dalla moglie Jill. “Giuro di adempiere con fedeltà all’ufficio di presidente degli Stati Uniti e di preservare, proteggere e difendere la Costituzione. Che Dio mi aiuti”, ha detto Biden pronunciando la formula di rito e diventando a 78 anni il presidente Usa più anziano ad entrare in carica.

All’evento, niente folla dunque: oltre al discorso di Biden, l’evento inaugurale è stato segnato dall’inno cantato da Lady Gaga e dall’esibizione di Jennifer Lopez. Kamala Harris ha invece giurato simbolicamente su due bibbie, una di Regina Shelton, che la vicepresidente considera come una seconda madre, e una del giurista Thurgood Marshal. Harris ha indossato un vestito viola in onore di Shirley Chisholm, la prima donna afro-americana a candidarsi alla presidenza. A farla giurare Sonia Sotomayor, prima ispanica e terza donna nominata giudice della Corte Suprema. Non c’era Donald Trump che, come ampiamente annunciato, ha disertato la cerimonia.

Gli appelli all’unità: la sfida (impossibile) di Joe Biden

Nel suo discorso inaugurale, il presidente eletto Joe Biden ha più volte fatto riferimento alla parola “unità”. “Miei concittadini americani, chiudo oggi da dove ho iniziato, con il sacro giuramento davanti a Dio e a tutti voi, vi do la mia parola. Sarò sempre alla pari con voi”, ha detto durante il suo discorso di inaugurazione. Biden ha promesso di difendere l’America per il “bene pubblico”. “Difenderò la Costituzione. Difenderò la nostra democrazia. Difenderò l’America. E darò tutto, pensando non al potere, ma alle possibilità. Non al interesse personale, ma al bene pubblico. E insieme scriveremo una storia americana di speranza, non paura, di unità, non di divisione. Di luce, non di oscurità. Una storia di decenza e dignità, amore e guarigione, grandezza e bontà” ha voluto rimarcare.

Nel suo discorso manicheo -unità/paura, luce/oscurità – Joe Biden ha più volte fatto riferimento all’unità del Paese, sempre più polarizzato dopo la (controversa) fine della presidenza Trump e l’assalto al Campidoglio dello scorso 6 gennaio. Al di là delle parole e della retorica del presidente eletto, i segnali non sembrano essere incoraggianti. L’ostinazione con la quale i democratici intendono proseguire nel processo di impeachment nei confronti del presidente uscente Donald Trump non rappresenta un segnale distensivo e di pace verso quei 75 milioni di americani che hanno votato il tycoon: perché se anche Trump non è più presidente a tutti gli effetti e ha lasciato la Casa Bianca, votando l’impeachment i dem potrebbero impedire a The Donald di ricandidarsi nel 2024.

Altro segnale non incoraggiante arriva dalle indiscrezioni, pubblicate anche dalla Cnn, secondo le quali l’amministrazione Biden potrebbe concentrarsi alla repressione del “terrorismo domestico” dopo i fatti di Capitol Hill. In buona sostanza: potrebbe esserci un duro giro di vite nei confronti dei sostenitori di Trump più estremisti che potrebbe portare a nuove tensioni. Il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente eletto Joe Biden, Jake Sullivan, sarebbe già al lavoro al fine di condurre una rapida indagine sulla “minaccia” e a breve dovrebbe presentare il suo piano d’azione. “Vinceremo sul suprematismo bianco e sul terrorismo interno”, ha infatti promesso Biden nel suo discorso inaugurale. Come se le violenze non fossero venute, in questi mesi, anche da Antifa e Black Lives Matter.  Se Joe Biden vuole porre fine alla nuova guerra culturale americana, dovrà calarsi anche nei panni degli sconfitti della globalizzazione e di quella classe media impoverita che ha sostenuto il presidente repubblicano.