Indubbiamente è stato l’uomo che più di tutti, con il suo improvviso arrivo a Biarritz, ha catalizzato l’attenzione durante la riunione del G7: non Trump, non il padrone di casa Macron, né “l’esordiente” Boris Johnson, la vera sorpresa è il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif. Protagonista indiscusso della diplomazia del suo paese negli ultimi anni, specie sotto la presidenza di Rohani, Zarif adesso prova a far riemergere il dialogo tra Teheran e l’occidente. Potrebbe essere lui l’uomo giusto per superare le attuali tensioni?
Il “pontiere” chiamato a ricucire con Washington
L’avvento di Donald Trump al potere cambia ogni scenario precedentemente (e faticosamente) costruito negli anni immediatamente precedenti: la linea della politica estera del presidente Usa prende di mira l’Iran, a favore di un’alleanza sempre più stretta in medio oriente con l’Arabia Saudita e soprattutto con il principe ereditario Mohammad Bin Salman. Fino a pochi mesi prima dell’avvento di Trump alla Casa Bianca, una serie di convergenze favoriscono il famoso accordo sul nucleare firmato dall’ex presidente Obama e dall’Europa. In primo luogo in quel periodo, che oggi sembra molto lontano, c’è la volontà di Barack Obama di scrollarsi di dosso gli insuccessi ottenuti durante la sua prima amministrazione in medio oriente, complice della pessima gestione delle primavere arabe e dei disastri in Libia ed in Siria. A Teheran invece dal 2013 è insediato Hassan Rohani, il quale ha un atteggiamento più “morbido” verso l’occidente a differenza del predecessore Ahmadinejad.
Ma il vero artefice dell’accordo è proprio Javad Zarif: è lui che, guadagnandosi l’appellativo di “pontiere”, costruisce dalle fondamenta quell’intesa che per pochi mesi dà l’illusione, in primo luogo al suo paese, della fine dell’era delle sanzioni. Un lavoro dietro le quinte il suo, ma anche alla luce dei riflettori delle conferenze stampa da cui in quel di Vienna, durante i colloqui, non si sottrae mai. Chi lo conosce bene in Iran già all’epoca è sicuro del suo successo: è uno dei pochi, in un paese dominato da più di trent’anni dalla dicotomia tra riformatori e conservatori, che riesce a mettere d’accordo tutti. Zarif il pontiere appunto, colui che grazie alla sua preparazione ed alla sua pazienza in Iran viene visto da molte forze politiche e sociali come unico vero interlocutore.
A dimostrazione di ciò anche l’episodio molto importante di febbraio, relativo alle sue dimissioni dalla carica di ministro degli esteri: dopo aver lasciato l’incarico in polemica per non essere stato avvisato dell’arrivo di Bashar Al Assad a Teheran, a chiedergli di riprendere in mano il ministero sono sia i falchi che le colombe. I pasdaran da un lato ed il presidente Rohani dall’altro.
Il cammino tutto in salita
Il suo arrivo a Biarritz durante il G7 rappresenta, come detto, una grande sorpresa capace di rubare la scena ai “big” della politica mondiale. Gli Usa di Trump chiudono ogni spiraglio da mesi con l’Iran, si sfiora più volte anche lo scontro armato, lo stesso Zarif nonostante il suo ruolo da pontiere viene raggiunto da sanzioni economiche personali. Dunque l’arrivo del ministro degli esteri di Teheran segna l’avvio di un possibile nuovo percorso volto a ridare ossigeno all’accordo sul nucleare. E per molti Zarif, come detto, è l’uomo giusto: oltre alle doti da diplomatico universalmente riconosciute, il ministro è uno che conosce molto bene il mondo a stelle e strisce. Studia a San Francisco, partecipa attivamente alle trattative che portano anni fa alla liberazione di alcuni ostaggi Usa rimasti nelle mani di miliziani sciiti libanesi, Zarif sa dunque quante e quali carte può spendere sul piatto di future trattative.
Ma il suo non è un lavoro semplice: il primo round in parte l’ha già vinto catalizzando l’attenzione sulla sua visita lampo tra i sette più potenti al mondo, la vera partita però si gioca nelle prossime settimane. E vista la linea attuale di Trump, anche per il pontiere che mette d’accordo tutti il lavoro non risulta per nulla facile: sarà dura, questa volta, cucire tra falchi e colombe sia del suo paese che d’oltreoceano.