La vendita delle due fregate all’Egitto è destinata a esser approvata. Ed è uno snodo politico e strategico fondamentale per l’Italia e lo scacchiere mediterraneo. Perché la vendita di una nave non è soltanto un accordo di natura contrattuale: è la definizione di un possibile nuovo quadro strategico. E l’Italia, che in questi anni sembra essere in piena ritirata dal Nord Africa, può dirsi oggi in grado di penetrare in un mercato in crescita come quello della Difesa egiziana diventando un partner sempre più essenziale per un Paese in cui fino a pochi anni fa il nostro governo aveva preferito non avere nemmeno un ambasciatore (in risposta al caso Regeni).

I termini dell’accordo sembrano abbastanza definiti. Le due fregate, Spartaco Schergat ed Emilio Bianchi, saranno cedute alla Marina egiziana per una cifra che si aggira intorno agli 1,2 miliardi di euro e si attende la firma (le indiscrezioni parlano di un pro forma) dell’Unità per le autorizzazione dei materiali di armamento (Uama). Questa la cronaca confermata anche da Palazzo Chigi.

Ma dietro la cronaca c’è un negoziato che svela strategie molto più profonde. Contatti, diplomazia politica e navale, sfide, “sabotaggi”, guerra commerciali che danno un quadro ben più complesso di quello che molti credono si possa risolvere semplicemente dicendo “no” a una vendita come quella delle due Fremm. Lo dimostra il fatto che nessun Paese al mondo mette al primo piano questioni politiche ed etiche rispetto ai piani dell’industria bellica. E lo confermano anche i problemi interni all’Europa nati dalla guerra commerciale tra le tre maggiori potenze industriali dell’Ue.

Questi problemi si riversano anche nella delicata partita egiziana. Perché è inutile negarlo: Italia ed Egitto sono legati da enormi interessi economici e strategici e – altrettanto evidentemente – questo legame non piace a molti “alleati” di Roma nel Mediterraneo e in Europa.

Il Cairo si sta armando, ha un ruolo di playmaker nella politica mediorientale e nordafricana, sta diventando una potenza energetica e con Suez è ancora oggi la porta orientale del Mediterraneo. Caratteristiche fondamentali in cui l’Italia gioca un ruolo di primo piano: Eni ha scoperto Zohr e l’Italia è nel forum per la gas del Mediterraneo orientale. L’Italia è coinvolta in Libia dove al Sisi è uno sponsor del generale Haftar. Suez è ancora oggi un elemento essenziale delle nostre rotte marittime. E adesso la vendita di navi e sistemi d’arma permette all’Italia di inserirsi nella fiorente partita della Difesa del Cairo: dove tutti vogliono avere una fetta di torta. Ed è per questo che meno affari fa Roma e più sono contenti quelli che possono prenderne immediatamente il posto, con attori esterni che soffiano verso rotture irrimediabili nella fase di contrattazione per aprire le porte ad altre industrie, facendo riversare miliardi nelle casse di altri Stati.

La commessa delle Fremm italiane all’Egitto entra perfettamente in questa logica. E si ripete un copione inquietante. Come avvenuto per l’affare dell’Eni con Zohr, anche in questo caso un incidente diplomatico ha rischiato di minare definitivamente i rapporti fra i due Stati: prima fu Giulio Regeni, poi è stata la volta di Patrik Zaky. Due casi per fortuna di diversa natura (uno un brutale omicidio, l’altro l’arresto di un cittadino egiziano) che però cadono proprio nel momento della conclusione di due fondamentali trattative. Le conseguenze dell’inevitabile raffreddamento delle relazioni tra i due Paesi dopo il caso Regeni sono state evidenti anche sul piano militare: la Francia ha vinto commesse militari di eccezionale importanza, la Germania è penetrata nel mercato dei sottomarini egiziani. Due mosse non casuali, visto che Berlino e Parigi sono da sempre nostri competitor europei e l’industria bellica serve eccome nella strategia di un Paese.

Vendere una nave, come spiegano fonti di alto livello a InsideOver a conoscenza della trattativa, non è vendere semplicemente un mezzo, è creare una rete di intelligence e diplomatica fondamentale. Uno Stato garantisce assistenza, manutenzione, conosce perfettamente il mezzo che vende: crea le basi per un rapporto molto più profondo. E scalza, come è avvenuto in questo caso, due rivali come Francia e Germania che avevano già pregustato la possibilità di sostituirsi ai mezzi di Fincantieri e quindi alla diplomazia industriale italiana. Tanto che non a caso, spiegano le nostre fonti, a Parigi la notizia dell’accordo tra Italia ed Egitto è stata presa decisamente male. L’Italia condivide con la Francia il progetto Fremm e la Marina egiziana possiede già una fregata di questa classe, la Tahya Misr (ex Normandie) acquistata dai francesi tra il 2014 e il 2015. Dopo la commessa di una fregata, 24 bombardieri Rafale e con l’acquisto di due MistralGamal Abdel Nasser e la Anwar El Sadat, tutti erano convinti che il Cairo avrebbe proseguito nell’acquisto di mezzi francesi.

Poi è arrivata l’Italia, che è riuscita a vendere all’Egitto due navi dello stesso progetto della Francia ma con una variante sicuramente migliore sotto il profilo tecnico. Uno schiaffo nei confronti di Parigi che fa il paio con quello di Eni nel giacimento di Zohr e dei rapporti costruiti sul fronte del gas. Insomma, colpi pesanti per un Paese che con l’Egitto ha rapporti da sempre proficui e che aspettava solo di passare all’incasso. Diverso il caso tedesco, che ultimamente ha ceduto tre sottomarini alla Marina egiziana, ma che da tempo sta cercando di infilarsi nel mercato dei mezzi di superficie. E che sperava nello stop all’accordo italo-egiziano per provare a rientrare in partita. Un gioco che a Berlino piace e anche parecchio visto che Angela Merkel ha già messo in chiaro l’interesse tedesco per il Nord Africa con la scelta di puntare tutto sulla Conferenza per la Libia. E da cui tutti sperano di far fuori l’Italia: come avvenuto in Libia e come rischiano di fare le mosse di partiti fin troppo legati a interessi esterni all’Italia e mascherati da politicamente corretto ed europeismo. Ma negli affari di Angela Merkel ed Emmanuel Macron, l’europeismo non entra mai neanche di sfuggita. Ed è meglio tenerlo a mente prima che il pacifismo si trasformi in una clamorosa mannaia.

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