L’ultimo G20 di Bali, in Indonesia, ha riacceso l’interesse della comunità globale verso l’Oriente. Nell’importante meeting indonesiano sono andati in scena molteplici incontri istituzionali di alto livello, compresso il primo faccia a faccia tra il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, e il leader cinese Xi Jinping.

L’Italia e l’Asia, un rapporto complesso

Premesso che la Cina rappresenta il mercato più grande al mondo, nonché il player più rilevante dell’Asia, Pechino non è e non dovrebbe essere certo l’unico interlocutore del continente asiatico. Prendiamo l’Asean, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico, formata da Filippine, Indonesia, Malesia, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam, Birmania, Laos, Cambogia, Papua  Nuova Guinea e Timor Est (queste ultime due nazioni con lo status di osservatori).

Stiamo parlando di un partner fondamentale in una regione altrettanto strategica, l’Indo-Pacifico, che ospita le economie più in rapida crescita del pianeta e accoglie una cospicua fetta del commercio globale. È impossibile, oggi, non avere un’agenda in politica estera che non tenga in considerazione il dossier asiatico. Sorge quindi una domanda: l’Italia ha un’agenda ad hoc? Rispondere al quesito è fondamentale, anche perché l’Asia – Cina, Giappone e Corea del Sud a parte – è stata quasi sempre ignorata dai vari governi italiani, mentre altri Paesi europei hanno provveduto, nel corso degli anni, ad orchestrare interessanti piani d’azione che oggi consentono loro di navigare nel contesto asiatico con naturalezza ed esperienza.

Una forte presenza commerciale

Eppure l’Italia avrebbe (e ha) un enorme potenziale per affermarsi in Oriente e in molti Paesi c’è domanda di Italia. Secondo i dati UNCTAD , dal 2009 al 2016 le esportazioni italiane verso i paesi Asean sono aumentate da 7,14 miliardi di dollari a 10,33 miliardi di dollari, mentre le importazioni sono cresciute da 5,27 miliardi di dollari a 8,14 miliardi di dollari. Tra i beni esportati dall’Italia troviamo macchinari, attrezzature e prodotti chimici fanno la parte del leone con il 42,6%, mentre gli Stati dell’Asean esportano in Italia soprattutto computer, prodotti elettronici e alimentari, rappresentando il 41,5% del totale. Numeri interessanti ma che contengono ampi  margini di miglioramento.

Prendiamo l’Indonesia: l‘Indonesia Investment Coordinating Board (BKPM) ha reso noto che gli investimenti diretti esteri (FDI) attirati dall’Indonesia nel primo trimestre del 2021 sono aumentati del 14% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente per un valore di circa 7,7 miliardi di dollari. O il Vietnam, incoronato dal recente Rapporto Export di Sace come uno dei Paesi più promettenti per l’export di Roma.

Dall’economia alla politica

Ma di solo economicismo non si vive: serve un’agenda politica multilaterale, capace di mettere a sistema l’interesse nazionale italiano e le prospettive di sviluppo del nuovo baricentro dell’ordine globale. Partendo dalle grandi nazioni con cui il rapporto è inevitabile (Cina, Giappone, India, Corea del Sud) per arrivare alle “Tigri” in crescita ambiziosa.

Quel che, in fin dei conti, l’Italia ha sempre saputo fare. Pensiamo all’anticipatoria azione di Roma nell’aprire alla Repubblica Popolare Cinese o alla dinamica che portò Giorgio La Pira e Papa Paolo VI nel lontano 1965 a giocare sul tavolo diplomatico della Guerra in Vietnam anticipando di un decennio le proposte che avrebbero animato gli Accordi di Ginevra. O più di recente a strategie di sistema come l’asse con il Giappone e il Regno Unito per potenziare l’accordo per il caccia Tempest, progetto che sottende un chiaro sistema geopolitico, ovvero l’indivisibilità della sicurezza indo-pacifica da quella euroatlantica. Parliamo di manovre a cui al contrario spesso è corrisposta un’attenzione puramente cosmetica, fatta di accordi siglati con grande clamore (uno su tutti: l’adesione italiana alla Nuova Via della Seta nel 2019) senza risvolti concreti.

Un’agenda, tre agende

Serve capire, perlomeno, la necessità di costruire tre agende per l’Asia, complementari tra loro. Una diretta specificatamente alla Cina, con la quale va utilizzata ogni arma politica e negoziale per evitare concorrenza sleale, penetrazione negli asset critici (tutelabili col Golden Power) e influenze malevole sulle dinamiche interne ma al tempo stesso evitata ogni retorica fondata sul puro spirito di confronto. Dalla tecnologia di frontiera sulla manifattura alle terre rare, Pechino è un partner chiave che può essere anche cooptato in dialoghi con l’Occidente puntando sul triangolo tra le due Rome: l’Italia e il Vaticano.

Un approccio geostrategico più spinto dovrebbe invece guidare l’approccio di Roma all’India e al Giappone. Paesi democratici, amici del nostro Paese, con cui i rapporti meritano di essere consolidati anche nei settori più complessi: dai microchip alla Difesa (il Tempest è un buon primo passo), le politiche di friend-shoring delle industrie strategiche possono e devono guardare a tali nazioni per creare una continuità di partnership che dal Mediterraneo allargato prosegua fino al cuore dell’Oceano Indiano per arrivare al Pacifico. In particolare, le ambizioni marittime di Nuova Delhi e Tokyo possono andare di pari passo con l’interesse italiano a un ruolo più spinto negli spazi oceanici, all’interoperatività delle flotte, alla garanzia di sicurezza sui colli di bottiglia, come Homruz e Aden, per il fluire dei traffici commerciali su cui le economie dei tre Paesi si fondano.

Infine, il resto dell’Asia indo-pacifica deve essere approcciata partendo sicuramente dall’esistente, un consolidato peso commerciale, per arrivare a strategie politiche più fini. Si può pensare all’interoperatività di sistemi come quello vietnamita e indonesiano, ma anche della Corea del Sud con cui i rapporti devono essere rafforzati, per il già citato friend-shoring delle industrie strategiche. Si può puntare sulla loro cooperazione per partire dal libero scambio Asean-Unione Europea e arrivare, con la mediazione italiana, a un dialogo strategico sull’abbassamento delle tensioni regionali e sull’offerta a tali Stati di una terza via rispetto al rischio di trovarsi schiacciati nella competizione Usa-Cina. Un’attenzione particolare poi la merita Singapore, grande polo scientifico, tecnologico e finanziario che può vedere diverse sinergie create con Milano, controparte italiana. Serve, insomma, giocare con originalità su tutti i tavoli. Con visione di sistema e, soprattutto, proiezione politica. L’Asia non è il futuro: è il presente. Non capirlo rischia di retrocedere l’Italia nel novero delle potenze di terza fascia.

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