L’est della Libia per l’Italia fino a pochi mesi fa sembra una delle spine nel fianco della diplomazia del nostro paese. Roma infatti riconosce soltanto il governo di Al Sarraj, stanziato a Tripoli dopo gli accordi di Skhirat del 2015, circostanza questa che certamente non va giù ad Haftar ed al parlamento che si riunisce in Cirenaica. Poi, dopo alcuni contatti intrapresi lo scorso anno, avviene un lento avvicinamento anche verso la parte orientale della Libia, come sottolineato nei giorni scorsi dal deputato Ali Al Saidi ai nostri microfoni: “È vero che negli ultimi sei mesi Roma si è riavvicinata all’est”, sono le dichiarazioni dell’esponente politico ritenuto tra i più vicini ad Haftar. Il culmine di questa strategia di avvicinamento, lo si ha giorno 23: in quell’occasione, dopo aver incontrato Al Sarraj a Tripoli, il presidente del consiglio Giuseppe Conte arriva direttamente in Cirenaica. È il segnale del definitivo riavvicinamento tra l’Italia e la parte orientale della Libia. 

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La possibile apertura di un consolato italiano a Bengasi 

Bengasi è da sempre la città più rappresentativa della Cirenaica, un problema più che un’opportunità per Gheddafi: qui il rais fatica ad avere lo stesso appoggio di cui gode a Tripoli, non è un caso che nel 2011 le prime manifestazioni partono proprio da questa regione storica della Libia. L’Italia a Bengasi ha uno storico consolato, che però più volte risulta sotto il tiro di manifestanti od islamisti.

Nel 2006, nel bel mezzo del caos generato dalle vignette scritte sul profeta Maometto, il consolato italiano viene bersagliato per via della riproposizione in tv proprio di quelle vignette da parte dell’allora ministro Calderoli. Per la diplomazia italiana è una delle giornate più difficili del dopoguerra: il consolato viene assaltato, la polizia libica costretta ad intervenire sparando sulla folla, il console italiano viene portato in salvo dalle forze di sicurezza grazie ad un’uscita laterale. La struttura risulta poi razziata e saccheggiata e torna in piena operatività soltanto qualche anno più tardi. Nel 2013 invece, ad essere oggetto di un attacco è l’allora console italiano Guido De Sanctis. Il rappresentante diplomatico viene raggiunto da alcuni colpi di pistola mentre è in macchina e solo per un puro caso risulta illeso. 

Da allora il consolato italiano a Bengasi è chiuso. Un problema di non poco conto, specie se si considera che dopo le elezioni del 2014 la Cirenaica diventa una regione quasi a sé, che ospita il centro di potere opposto a quello di Tripoli. Disagi diplomatici, ma anche operativi per gli italiani che ancora sono in Cirenaica ed in previsione di un possibile ritorno di alcune aziende del nostro paese nella regione. Durante la visita di Conte a Bengasi ed a Tobruk, dove vi è la sede provvisoria del parlamento, si è parlato proprio di questo. In particolare, potrebbe essere riaperto il nostro consolato a Bengasi. Sarebbe un segnale di definitivo superamento delle distanze tra Roma e la Cirenaica, con l’Italia quindi pronta ad attuare sul campo la sua “strategia inclusiva”, con l’obiettivo di inglobare nelle sue mosse tutti gli attori impegnati nel frastagliato quadro libico. 

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La strategia italiana

La possibile riapertura del consolato italiano a Bengasi, andrebbe anche a completare la “squadra diplomatica” del nostro paese in Libia. Dopo mesi di incertezze, a seguito del caso dell’ex ambasciatore Giuseppe Perrone, adesso si sta cercando di mettere a posto tutti i pezzi dell’intricato puzzle diplomatico. Nei giorni scorsi infatti, arriva la nomina del nuovo ambasciatore che a gennaio potrebbe già essere pienamente operativo. Come si sa, a Tripoli torna Giuseppe Buccino Grimaldi, che ha già ricoperto questo ruolo tra il 2011 ed il 2015. Una scelta non proprio andata giù in Cirenaica, dove in tanti vedono nel vecchio/nuovo ambasciatore un uomo legato alla strategia italiana di appoggio esclusivo alle autorità di Tripoli. Haftar, secondo diverse indiscrezioni trapelate da Bengasi, dopo aver dichiarato Perrone “persona non gradita” ad agosto per via di alcune sue dichiarazioni, avrebbe poi appoggiato l’eventualità di un ritorno dello stesso ambasciatore. 

L’apertura di un consolato a Bengasi dunque, potrebbe avere una duplice funzione: una simbolica, che testimonierebbe il ritorno dell’Italia anche nell’est della Libia, una politica con la prospettiva di nominare un console e dunque un referente con cui gli attori politici della Cirenaica potrebbero direttamente interloquire. Di certo, per Roma sarebbe anche un altro importante passo avanti nel quadro della costituzione di una cabina di regia a guida italiana per la Libia: avere un ambasciatore a Tripoli ed un console a Bengasi, vorrebbe significare essere il primo paese a ristabilire le proprie sedi diplomatiche nelle zone cruciali del paese africano. Un altro passo dopo il vertice di Palermo, che nelle intenzioni della diplomazia italiana viene sempre più considerato come una base da cui poter generare i futuri passi del nostro paese all’interno del percorso di stabilizzazione della Libia. 

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