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Il governo italiano ha deciso per il blocco delle cosiddette trivelle. Lo ha fatto sotto la spinta del Movimento Cinque Stelle, che ha da sempre avuto nel suo programma l’obiettivo della sospensione delle attività di perforazione nei mari italiani. E così, una volta arrivato a Palazzo Chigi, il Movimento ha deciso di impegnarsi sul fronte delle esplorazioni e dello sfruttamento dei mari, in particolare di quello Adriatico, opponendo una dura resistenza alle possibilità di sfruttare il bacino per estrarre idrocarburi. Evitando a detta della forza di governo, un processo pericoloso e che colpirebbe in maniera sensibile l’ecosistema, con un impatto sulla salute del mare e sulle attività economiche legate a quello specchio d’acqua.

Il problema è che l’Adriatico è molto piccolo. E quindi, gli obiettivi ambientalisti del governo composto da Lega e Movimento Cinque Stelle rischiano di essere del tutto disattesi. Il motivo è semplice: dall’altra parte del mare, ovvero in Croazia e, in parte, in Montenegro e Grecia, nessuno ha intenzione di arrestare né le ricerche né le perforazioni. Arrivando al paradosso che l’Italia, per difendere la salute dell’Adriatico, non solo otterrà scarsi risultati sotto il profilo ecologico (perché a poche miglia, le trivelle sono attive), ma riuscirà anche a farsi togliere il gas e il petroli eventualmente scoperti nei fondali adriatici.

Il caso emblematico e che deve destare allarme è quello della Croazia. Allarme non per le legittime mire croate sul gas, ma perché i primi a poter subire pesanti ripercussioni siamo proprio noi, che distiamo pochi chilometri dalle loro trivelle.

Il governo di Zagabria ha da tempo messo in atto un’importante strategia energetica che punta a rendere il Paese un vero e proprio hub degli idrocarburi nei Balcani. Sostenuto dall’Unione europea e dagli Stati Uniti, il piano croato prevede almeno tre punti.

Il primo si basa sulle trivellazioni nel mare Adriatico. Ed è qui in particolare si gioca la partita più importante con l’Italia. Perché, come spiega Il Sole 24 Ore, “sotto il fondo del mare Adriatico vi sono numerosi giacimenti, soprattutto di metano. Spesso sono a cavallo fra le due aree di competenza, quella italiana e quella dei dirimpettai sloveni, croati, montenegrini e albanesi. E nei giacimenti funziona come con le granite: la prima cannuccia che arriva al fondo sugge tutto lo sciroppo”.

Un’immagine semplice che però fa capire meglio di qualsiasi altra spiegazione cosa significhi per un Paese abbandonare del tutto queste ricerche. E infatti, soprattutto dalle parti di Ravenna, sono in molti ad aver protestato contro la decisione dell’esecutivo. Come già spiegato su questa testata testata, il rischio infatti è di regalare i giacimenti di gas e petrolio ai nostri vicini balcanici, senza ottenere alcun vantaggio nemmeno in termini ecologici.

Ma l’idea croata è quella di andare più in là. Non c’è infatti solo il gas nei fondali marini, ma anche quello sulla terraferma. E da un po’ di tempo, il governo di Zagabria ha dato il via libera all’esplorazione di vaste aree del Paese, in un’area che, come confermato dal ministro dell’Energia e dell’ambiente Tomislav Coric misura 12.134 chilometri quadri. In particolare, l’area di riferimento è quella delle Dinaridi. E come ricorda Il Piccolo, lo stesso ministro ha voluto ribadire che questa manovra dell’esecutivo croato ha lo scopo di migliorare l’indipendenza energetica del Paese balcanico. Un interesse strategico cui si aggiunge la creazione di posti di lavoro anche specializzati e gli introiti derivanti dalle tasse. Tutto negli standard ecologici richiesti dalla legislazione nazionale ed europea.

Infine, terzo punto. E che riguarda ancora il rapporto con l’Italia e il mare Adriatico. La Croazia ha infatti deciso di puntare anche su un altro progetto: quello del rigassificatore di Veglia. L’obiettivo dell’esecutivo di Zagabria è quello di movimentare, attraverso questo progetto, una quantità di gas naturale liquefatto di circa 2,6 miliardi di metri cubi di all’anno. A fine gennaio è arrivato l’ok del governo di Andrej Plenkovic al finanziamento definitivo dell’impianto off-shore. E l’obiettivo è quello di realizzarlo entro il 2021. E così, mentre l’Italia blocca trivelle rigassificatori nell’area, la Croazia rischia di strapparci non solo il gas dei fondali, ma anche quello che arriva dalle navi.





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