“Chi controlla Istanbul controlla la Turchia”. Parole emblematiche quelle pronunciate dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan nel 2017, ma che fanno sentire tutto il loro peso ancora oggi, nel momento in cui i cittadini di una della più importanti città del Paese tornano al voto per eleggere – o meglio rieleggere – il proprio sindaco.

Il 31 maggio infatti Istanbul aveva già scelto Ekrem Imamoglu come suo primo cittadino. Candidato del Partito popolare repubblicano (Chp) di orientamento kemalista, Imamoglu aveva sconfitto il suo avversario Binali Yildirim dell’Akp, il partito del presidente Erdogan.

Una sconfitta, determinata anche dal sostegno della popolazione curda a Imamoglu, che il capo di Stato turco non ha accettato, come dimostra il ritorno al voto dopo l’annullamento da parte della Commisisone elettorale (Ysk) dei risultati del 31 maggio.

Per Erdogan, Istanbul non è una città qualunque. Non si tratta solo del più importante polo economico del Paese, ma anche della città in cui lui stesso ha ricoperto la carica di primo cittadino dal 1994 al 1998 e da cui ha preso avvio la sua scalata al potere.

La reazione del presidente turco ai risultati delle elezioni amministrative come si è visto non è stata delle più democratiche, segno di una costante erosione delle libertà e del rispetto dei diritti dei cittadini che Erdogan sta portando avanti da anni e che si è intensificata dopo il fallito golpe del 2016. Facendo pressione sui membri della Commissione elettorale, il presidente ha ottenuto l’annullamento dei risultati e imposto il ritorno al voto il 23 giugno.

Giusto in tempo per cercare di cambiare le carte in tavola e aumentare le chance di vittoria del suo candidato.

Il peso della minoranza curda

È all’interno di questa strategia che si inserisce un evento particolarmente significativo e passato abbastanza inosservato sui media internazionali: l’incontro, dopo otto anni di isolamento, tra il leader del Pkk (Partito dei lavoratori curdo) Abdullah Ocalan, detenuto nel carcere di Imrali dal 1999, e i suoi avvocati. Una decisione che ha portato anche alla fine dello sciopero della fame di 7mila curdi in tutto il mondo, che chiedevano il rispetto dei diritti del loro leader.

La mossa di Erdogan però non sembra destinata a dare i frutti sperati. Selahattin Demirtas, capo politico del Partito democratico del popolo (Hdp, filo-curdo), dal carcere in cui si trova rinchiuso da due anni e mezzo ha esortato i suoi elettori ha sostenere ancora una volta Imamoglu.

Secondo Demirtas i curdi hanno uno seconda possibilità di dimostrare la loro opposizione a Erdogan dando un contributo importante – “fondamentale” per usare le sue parole – alla vittoria del candidato del Chp.

L’Hdp non è l’unica fazione politica ad aver deciso di sostenere Imamoglu. Contrariati dalla forzatura del presidente Erdogan, anche gli altri partiti di opposizione hanno via via annunciato che non presentaranno propri candidati per favorire la vittoria di Imamoglu.

Una strategia vincente, a guadare i sondaggi: il candidato dell’Hdp, nonostante il silenzio della stampa nazionale controllata dal presidente e dal suo partito, è dato infatti per vincitore.

Ipotesi post-voto

Se il risultato sembra essere abbastanza scontato lo stesso non si può però dire per la reazione che avrà Erdogan. Contestare per la seconda volta la vittoria di Imamoglu potrebbe scatenare la reazione dei cittadini e già alla vigilia delle prime votazioni i rappresentanti del partito filo-curdo avevano avvertito di una possibile sollevazione popolare.

Senza contare che l’instabilità sociale avrebbe effetti anche sul versante economico, già fortemente in crisi: la lira continua a svalutarsi, gli investimenti esteri diminuiscono mentre cresce il tasso di disoccupazione.

Accettare la vittoria di Imamoglu d’altro canto vorrebbe dire cedere all’opposizione una delle più importanti città della Turchia e ammettere una perdita di importanza del suo partito, per lo meno a Istanbul, e riconoscere il peso di una minoranza la cui stessa esistenza Erdogan continua a negare.

Ipotizzando che Imamoglu vinca le elezioni e che il presidente ne accetti l’esito, bisogna comunque fare attenzione a non leggere un simile risultato come la fine di Erdogan.

Le urne del 31 maggio hanno dimostrato che l’Akp è ancora forte nel Paese e l’alleanza Hdp-Chp difficilmente potrebbe essere riprodotta anche a livello nazionale, almeno allo stato attuale.

Una simile ipotesi sarebbe possibile solo se il Partito popolare repubblicano cambiasse il suo atteggiamento verso la minoranza curda, impegnandosi a garantire quei diritti che il “popolo della montagna” si è sempre visto negare. Ma non sembra un’ipotesi plausibile nel breve periodo.

Per ora non resta che aspettare domenica 23 giugno e il risultato delle urne.