In Israele si vota il prossimo 9 aprile e la campagna elettorale si fa sempre più tesa. A fronte di un frazionamento politico sempre più evidente e che, molto probabilmente, dovrebbe portare ad un parlamento formato da diversi partiti, in realtà i fronti appaiono polarizzati. Centrodestra da un lato, con l’uscente Benjamin Netanyahu che punta alla riconferma nonostante i problemi giudiziari, centro tendente a sinistra (ed ai partiti arabi) dall’altro con Yair Lapid e l’ex capo di Stato maggiore Binyamin Gantz al vertice.
Ma ecco che, nello scenario israeliano pre-elettorale, a fare rumore sono anche le prese di posizione e le dichiarazioni di vip e personaggi dello spettacolo. Un fatto non certo usuale per un paese, quale quello ebraico, poco avvezzo nel vedere star televisive o sportive schierarsi in politica.
Due attrici contro Netanyahu
Desta dunque scalpore la diatriba nata tra l’attriceRotem Sela e lo stesso attuale premier israeliano. Ne dà notizia l’Huffington Post, dove in un articolo viene spiegata l’origine della querelle. Tutto parte da una dichiarazione del ministro della cultura, la fedelissima al leader del Likud Miri Regev, che in un’intervista a Channel 12 mette in guardia gli elettori intenzionati a votare Gantz: “Lui e Lapid dovrebbero formare un governo con gli arabi”.
A questa affermazione, risponde su Instagram l’attrice Rotem Sela: “E qual è il problema con gli arabi? – si chiede Sela – Oh mio Dio, ci sono anche cittadini arabi in questo Paese! Quando diavolo qualcuno in questo governo trasmetterà al pubblico che Israele è un Paese per tutti i suoi cittadini e ogni persona è nata alla pari, anche gli arabi”.
Una presa di posizione, quella dell’attrice, che evidenzia soprattutto una critica ad una recente legge statale, la quale fa ufficialmente di Israele lo Stato nazione degli ebrei. Una norma che, secondo molti detrattori, rischia di deviare la democrazia israeliana verso una teocrazia o comunque verso un paese che non considera gli arabi come cittadini a tutti gli effetti.
A questa polemica contro il ministro della cultura, risponde sempre sui social lo stesso Benjamin Netanyahu. Caricando una foto con la bandiera israeliana sullo sfondo, il premier “ricorda” a Sela proprio la legge in questione ed il senso della nuova normativa: “Cara Rotem, un’importante correzione: Israele non è uno Stato di tutti i suoi cittadini. Secondo la legge dello Stato-nazione che abbiamo approvato, Israele è la nazione – stato del Popolo Ebraico – e loro da soli .Come hai scritto, non c’è alcun problema con i cittadini arabi di Israele – hanno gli stessi diritti di tutti noi e il governo del Likud ha investito nel settore arabo più di ogni altro governo”.
“Il Likud chiede solo – prosegue Netanyahu – di affinare il punto centrale di queste elezioni: si vuole un forte governo di destra guidato da me, oppure Yair Lapid e il governo di sinistra diBenny Gantz con il sostegno dei partiti arabi? Lapid e Gantz non hanno altro modo di formare un governo, e un governo come questo minerà la sicurezza dello Stato e dei cittadini. La decisione alle urne, buona giornata”.
In poche parole, Netanyahu rivendica la legge sulla cittadinanza affermando però di non discriminare gli arabi, che oramai rappresentano il 20% della popolazione, e di chiedere semplicemente un voto per il suo programma di governo. Ma la querelle va avanti anche nei giorni successivi. A difesa di Rotem Sela, arriva un’altra attrice israeliana molto seguita nel paese: Gal Godot.
Anche lei preme per affermare il diritto dei cittadini arabi di sentirsi pienamente israeliani, senza differenze con gli ebrei. Un concetto ribadito anche da diversi esponenti politici dei partiti arabi, i quali nel 2015 ottengono un discreto successo elettorali che potrebbe ripetersi anche il 9 aprile. Soprattutto perché quel 20% della popolazione di origine palestinese che ha cittadinanza israeliana, specie dopo il via libera alla legge sopra accennata, non vede altro modo di difendere la propria posizione se non votando liste composte da arabi.
La divisione in Israele alla vigilia del voto
Come detto, la polarizzazione in vista dell’apertura delle urne appare molto forte in Israele nonostante una miriade di partiti sono pronti a presentarsi e tante liste vengono accreditate dai sondaggi come potenzialmente all’interno della Knesset. Da un lato avanza sia la destra religiosa che quella nazionalista, la quale preme per un paese sempre più specchio dell’identità ebraica. Dall’altro, vi sono invece quei partiti che vedono nell’attuale tendenza dei sostenitori di Netanyahu un potenziale pericolo per la tradizionale laicità dello Stato.
Al centro vi sono poi alcune importanti convergenze. Lo stesso Likud ad esempio, il partito del premier, appare diviso in due fazioni: una favorevole nel continuare a guardare verso destra, l’altra invece più “moderata” che fa capo all’attuale capo dello Stato,Reuven Rivlin. Nel frattempo, tra questi due fronti, si inserisce anche una recente decisione della Corte Suprema la quale, ribaltando una decisione votata a maggioranza dalla Knesset, riammette nella corsa elettorale due partiti arabi precedentemente esclusi mentre cancella la lista “potere ebraico”, accusata di fomentare odio anti arabo.