Il sostegno da parte del presidente americano Donald Trump e l’annuncio del Piano di pace a ridosso delle terze elezioni israeliane hanno dato i loro frutti: il premier uscente Benjamin Netanyahu è riuscito a vincere 36 seggi, tre in più rispetto al leader di Blu&Bianco. Bibi, grazie agli altri partiti di destra israeliani, è al momento fermo a 58 seggi e si trova quindi a un passo dal raggiungere il numero necessario per formare il nuovo governo. Durante la sua campagna elettorale il primo ministro ha insistito con la sua già collaudata linea dura contro i palestinesi, promettendo di annettere Giudea, Samaria e la Valle del Giordano, oltre agli insediamenti illegali presenti in Palestina. A dare sostegno alle sue promesse è stato l’Accordo del secolo svelato dagli Stati Uniti a fine gennaio e che darebbe per l’appunto via libera ai progetti espansionistici di Israele. Ma la retorica anti-palestinese e lo stesso Piano di pace si sono dimostrati un’arma a doppio taglio per la destra israeliana.
Una vittoria storica per gli arabi
I vincitori delle elezioni israeliane di marzo sono stati due. Il primo è senza dubbio il leader del Likud, che è riuscito a riconquistare la fiducia di una parte di quell’elettorato che nelle urne precedenti aveva affidato il proprio voto a Benny Gantz. Il secondo è invece la Lista araba unita, espressione di quei partiti arabi israeliani che alle urne di aprile 2019 si erano presentati divisi e che proprio a causa di questa decisione erano stati penalizzati dai loro stessi elettori. La Lista aveva poi guadagnato un numero maggiore di voti nella seconda tornata elettorale, ma il vero successo lo ha raggiunto a marzo 2020 riuscendo a portare a casa 15 seggi: il numero di elettori è infatti passato dal 59.2% di aprile, al 49.2% di settembre, fino al 64.7% di marzo. A compattare l’elettorato arabo e a vincere l’apatia che spesso caratterizza questa parte di popolazione dello Stato di Israele sono state la campagna elettorale di Netanyahu e il Piano di pace americano. La prima ha aumentato i timori della componente araba e il desiderio di fare qualcosa per cambiare la situazione nel Paese, mentre il secondo ha risvegliato gli animi e portato migliaia di persone nelle piazze e nelle strade. Ma a votare per la Lista araba e contro la destra israeliana sono stati anche gli ebrei: secondo quanto affermato dagli analisti politici, 20mila ebrei avrebbero dato il loro sostegno alla Joint List, stanchi di una divisione sempre più marcata nella società israeliana su base etnico-religiosa. Un dato ancora più interessante se si considera che nelle elezioni di settembre il voto ebraico era la metà di quello che si è invece registrato a marzo 2020.
Gantz e la Lista araba
Grazie ai suoi 15 seggi, la Lista araba è il terzo partito per numero di voti ed è quindi un alleato importante per il principale avversario di Netanyahu, Benny Gantz. Il leader di Blu&Bianco ha avuto un atteggiamento altalenante nei confronti della componente politica araba. In un primo momento aveva aperto alla possibilità di creare un Governo che comprendesse anche la Lista, da sempre esclusa dall’esecutivo, ma nell’ultima campagna elettorale aveva ritirato la sua proposta nel tentativo di riconquistare parte del suo elettorato. A costringere Gantz a fare un passo indietro erano state anche le ultime dichiarazioni di Netanyahu contro la Lista e la popolazione di origine araba, presentata ancora una volta come irrilevante e non facente realmente parte – a suo parer – dello Stato ebraico. Questa decisione però ha indebolito la posizione dell’ex generale, che ha finito ancora una volta per rincorrere il premier uscente senza riuscire a presentarsi come un’alternativa del tutto credibile. Adesso Gantz dovrà decidere se continuare con la linea dura o se tornare ad aprire alla Lista araba per poter diventare il prossimo primo ministro israeliano.