Terremoti, l’unico fenomeno naturale – o indotto dall’Uomo – in grado di rivoltare l’equilibrio imperante nel sistema internazionale in un momento dato. Possono essere delle pandemie, dei cataclismi alla base di distruzioni indicibili e grandi moti migratori, delle implosioni imperiali, ma, molto spesso, coincidono con le guerre.
La guerra è il terremoto geopolitico per antonomasia, lo strumento più utilizzato, da sempre, per riscrivere la distribuzione del potere all’interno di un micro- e/o di un macrosistema. Giacché le guerre accelerano tendenze pre-esistenti, alterano la geografia e cambiano destini apparentemente ineluttabili. Se è vero historia magistra vitae, come sosteneva Cicerone, allora tutto sembra indicare che non v’è nulla di più geopoliticamente traumatico di una guerra.
Le guerre creano e distruggono ordini mondiali. E, allo stesso tempo, forgiano e sfaldano legami che si pensava fossero inossidabili. Prova provante della natura rivoluzionaria dei grandi conflitti è l’Ucraina, la trincea principale dell’epocale battaglia tra il Momento unipolare e la Transizione multipolare. Trincea che, rimanendo in tema di legami, ha accelerato un fenomeno destinato ad incidere profondamente sulla geografia del potere dell’Eurafrasia: la rottura tra Israele e Russia.
Il dilemma dell’allineamento
La guerra in Ucraina verrà ricordata come il grande terremoto geopolitico del XXI secolo. Una sorta di “super-11 settembre” destinato a traghettare l’umanità verso mete inesplorate e pericolose, scenari da hic sunt leones, e sul cui dinamitardo impatto hanno scommesso in ugual misura la Russia e gli Stati Uniti – la prima nella speranza di sveltire la Transizione multipolare, i secondi nell’aspettativa di prolungare il Momento unipolare e di preparare il terreno per il vero scontro del XXI secolo, quello tra l’Aquila e il Dragone.
Il dilemma amletico di tutti, grandi e piccoli, è solo e soltanto uno dall’alba del 24.2.22: dalla parte del decadente Momento unipolare o con le travolgenti forze della Transizione multipolare? Scegliere non è facile, non può essere fatto nottetempo, perché allinearsi ad aggravamento della competizione tra grandi potenze in corso potrebbe significare (tentativi di) cambi di regime, colpi di stato, guerre ibride, instabilità, sabotaggi, terrorismo.
Allinearsi con un blocco anziché con un altro, o provare a non allinearsi affatto, potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte, tra la pace e la guerra. E ciò vale per tutti, dagli imperi alle periferie. Verità di cui ha piena cognizione Israele, potenza semi-solitaria par excellence, per il quale la risposta alle tendenze catalizzate dalla guerra in Ucraina, dallo scontro Stati Uniti-Cina alla radicalizzazione della Russia, costituisce la sfida del XXI secolo.
Israele su un campo minato
Il peggioramento delle relazioni bilaterali tra Russia e Israele rappresenta sicuramente una delle tendenze geopolitiche più significative alle quali la guerra in Ucraina ha dato impulso. In collisione già nell’anteguerra per motivi di incompatibilità strategica, e non soltanto in Siria, i due paesi si sono allontanati di pari passo con l’incedere del conflitto nelle terre ucraine. Senza che l’eredità del duo Putin-Netanyahu e il fattore Giacobbe potessero far nulla per drenare l’ematoma.
Le guerre sono il banco di prova in cui testare la solidità di un’amicizia e la serietà di un’inimicizia. E Israele, in qualità di porzione d’Occidente incuneata nel Levante e di provincia del Mondo russo, da questo banco non aveva mai avuto chance di sottrarsi. Anche perché scegliendo di entrare nell’alleanza di Ramstein, la coalizione dei volenterosi 2.0, il governo Bennett-Lapid aveva effettuato una scelta di campo chiara e netta. Dalla parte dell’Occidente, contro la Russia.
Vero è che Israele non ha inviato armamenti in Ucraina, e continuerà a declinare ogni richiesta in tal senso per ragioni politiche – meglio un equilibrio precario ad un non equilibrio – e di sicurezza – l’imperativo di evitare che armi protette dal segreto industriale cadano in mani ostili –, ma anche ai sordi è giunta voce della fornitura di intelligence e di combattenti irregolari – volontari e mercenari – a favore delle forze armate ucraine. Circostanza che ha fortemente indispettito Mosca, per la quale Tel Aviv è ad un passo dalla cobelligeranza. Passo (falso) che Tel Aviv si guarda bene dal commettere.
Alla prova della Terza guerra mondiale a pezzi
Israele avrebbe più da perdere che da guadagnare da un ingresso a gamba tesa nella guerra senza limiti tra NATO e Russia. Lo ignora, o non gli interessa, una parte considerevole del mondo religioso – che ha facilitato l’arrivo in Terra Santa di circa dodicimila ebrei ucraini nei primi sette mesi di guerra –, ma ne hanno piena cognizione la classe politica e gli ambienti strategici. Giacché dall’intesa russo-israeliana dipendono, tra le varie cose, l’efficacia della lotta al terrorismo palestinese e del contrasto all’espansionismo iraniano in Medio Oriente.
Le relazioni tra Mosca e Tel Aviv sono ad un punto di svolta. Di nuovo. Come durante la Guerra fredda, epoca che vide i sovietici in prima linea nel supporto della causa palestinese e gli israeliani a combattere i comunisti nelle più importanti guerre mondiali dell’epoca – dal Nicaragua all’Afghanistan. Un presente che sa tanto di ritorno al passato.
L’intesa amichevole con la Russia è e continuerà ad essere parte integrante del corollario di sicurezza nazionale di Israele, che grazie al tacito assenso del Cremlino può operare – ossia colpire – liberamente tra Levante e Mesopotamia, ma l’aggravamento della competizione tra grandi potenze comporterà inevitabilmente delle scelte.
Le scelte di Israele deriveranno dalla consapevolezza che l’Ucraina è diventata l’ultima trincea delle guerre irano-israeliane e che la Russia, trasfigurata dalla mentalità di guerra, ha cominciato a vedere il mondo in bianco e nero. Saranno plasmate dal timore di un asse Mosca-Teheran. E saranno anche obbligate dalle volontà dell’Alleato maggiore, gli Stati Uniti, la cui inderogabilità è stata tastata con mano da Israele in occasione della morte dell’ambasciatore cinese Du Wei. La Terza guerra mondiale a pezzi sarà il Golia del Davide israeliano.