Tra tutti i territori del Regno Unito quello che per il momento ha risentito di più della Brexit è stata l’Irlanda del Nord. Una terra ancora fortemente spaccata – coi cattolici (discendenti della popolazione irlandese originaria dell’isola) da un lato e i protestanti (discendente, invece, dai coloni britannici) dall’altro – nella quale ha avuto luogo per decenni una guerra civile a bassa intensità. Una tensione che gli Accordi del Venerdì Santo hanno a malapena tenuto a bada. Un conflitto interno che, proprio con l’attuazione ultima della Brexit, potrebbe nuovamente accendersi, come evidenziato dagli episodi di violenza verificatisi a cavallo della Pasqua nella capitale Belfast e nella città simbolo di Londonderry (chiamata semplicemente Derry dai cattolici, che non vogliono sentire la parola “Londra” accostata al suo nome).
Tornano le violenze contro la polizia
Dallo scorso fine settimana le due città sono state teatro di scontri tra le forze unioniste e la polizia locale, in uno scenario di guerriglia che ha visto gli agenti bersaglio di bombe molotov e molteplici veicoli incendiati. Un clima di guerra urbana, dunque, che in Irlanda del Nord non si respirava da tempo. Gli episodi, iniziati proprio nel giorno del Venerdì Santo, sono stati definiti dalla polizia nordirlandese come una serie di attacchi orchestrati. Tra i partecipanti era presente anche un’importante percentuale di giovani affiliati ai gruppi paramilitari unionisti. Particolare, questo, decisamente preoccupante per il governo britannico e l’amministrazione nordirlandese, in quanto dimostra molto bene come anche tra le giovani generazioni il conflitto sociale sia ancora ampiamente sentito. E, soprattutto, in uno scenario che conferma quelli che erano i timori delle autorità: i gruppi paramilitari di unionisti e Ira siano ancora operativi e pronti all’azione.
Martin e Biden uniti nella condanna
Le nuove violenze cittadine che hanno interessato il Nord Irlanda hanno sin da subito attirato l’attenzione internazionale, con il taoisech irlandese Michael Martin e il presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden che hanno condannato gli episodi verificatisi nel Paese. I due hanno anche espresso la propria disponibilità alla collaborazione con Londra per evitare che una nuova escalation di tensioni rischi di condannare la regione ad una nuova stagione segnata dal conflitto civile.
“L’unica via per uscire dalla crisi è quella di affrontare la questione con mezzi pacifici e democratici” sono state infatti le parole di Martin. Uno scenario auspicabile che, però, è storicamente difficile da portare avanti nella regione, soprattutto in virtù della distanza tra le posizioni indipendentiste e quelle lealiste. Posizioni che, in ultima battuta, la Brexit non ha fatto altro che accrescere, “allontanando” i cattolici da Dublino e “sbarrando” i rapporti con Londra per i protestanti a causa della dogana nel Mare d’Irlanda.
Johnson alla prova irlandese
Benché il governo di Boris Johnson sia segnato in modo preminente sia dalla gestione economica della Brexit sia dalla pandemia di coronavirus, sotto il piano interno il successo o il fallimento della gestione della “questione irlandese” sarà una discriminante nella valutazione del suo operato. Dopo quasi ventitré anni di tregua, il leader conservatore è il primo capo di governo chiamato nuovamente a gestire un acuirsi della crisi sociale dell’Ulster, in uno scenario complicato dalle altre criticità che in questo momento stanno attanagliando il Paese.
La situazione non è infatti semplice e necessita di essere affrontata nel più rapido dei tempi possibili. Sotto il piano commerciale, infatti, è necessario porre uno sbarramento doganale tra il Regno Unito e l’Europa al fine di rispettare gli accordi commerciali con Bruxelles. Porre però tale confine sul territorio irlandese significherebbe riaccendere la rabbia cattolica, mentre porlo tra Belfast e Londra, invece, significherebbe indispettire (come avvenuto) le compagini unioniste, le quali hanno già letto la soluzione portata avanti da Londra come un “tradimento” delle promesse della campagna elettorale. E in uno scenario sociale dove la pazienza della popolazione è stata logorata anche dalle restrizioni dettate dalla pandemia, la gestione dei rapporti con il popolo è infine divenuta ancora più difficile, aprendo la strada a scenari di scontri anche per le prossime settimane.
Benché al momento Londra non abbia ancora preso una decisione netta, chiaramente presto o tardi sarà obbligata a mettere in atto i controlli volti a garantire il rispetto degli accordi commerciali stipulati con Bruxelles. E in quel momento, si giungerà anche alla resa dei conti con la popolazione nordirlandese, sempre più logorata da una telenovela iniziata sin dal referendum sull’uscita del Regno dall’Unione europea. In uno scenario che, purtroppo, potrebbe vedere nuovamente l’Irlanda (a un secolo di distanza dalla nascita a Dublino dello Stato libero d’Irlanda) teatro di uno scontro che ha segnato la sua storia sin dalla sua prima occupazione.