Voto popolare, ma fino ad un certo punto: più della metà degli iracheni, durante le elezioni dello scorso sabato, è rimasta a casa o almeno questo può valere per chi, dopo anni di lotta al califfato, ha ancora la fortuna di possederne una. Secondo i dati ufficiali della commissione elettorale irachena, l’affluenza si è fermata al 44% degli aventi diritto, ben al di sotto della metà e molto più bassa rispetto al 63% del 2014. Gli esiti del voto nascondono ancora più insidie: a dispetto della vigilia, la lista sciita “moderata” del premier uscente Al Abadi non ha avuto la maggioranza relativa, la quale invece potrebbe andare clamorosamente alla liste di Moqtada Al Sadr, alleato con il Partito Comunista. Al Abadi potrebbe essere addirittura terzo, dietro anche alla coalizione “Fatah” che raggruppa le milizie sciite che hanno combattuto il califfato.

La mossa vincente di Moqtada Al Sadr

Al Abadi ed Al Maliki, gli ultimi due premier, hanno incarnato il volto politico e moderato del variegato universo sciita, al potere dalla caduta di Saddam Hussein: entrambi sono stati puniti dagli elettori, delusi da un andamento della situazione che vede la popolazione irachena ancora molto sofferente, nonostante la vittoria sull’Isis. Quasi impossibile paragonare il voto iracheno a quello di un comune Paese occidentale, pur tuttavia è possibile lanciarsi nell’azzardata relazione volta a considerare l’esito delle elezioni come un trionfo dei partiti “anti sistema”. Se tutto verrà confermato e se, soprattutto, verrà confermata la proiezione della  Reuters, vincitore morale e materiale delle consultazioni sarà Moqtada Al Sadr. Alla sua coalizione dovrebbero andare 54 seggi su 329, 47 alla lista sciita Fatah, 42 ad Al Abadi: indietro Al Maliki e le altre liste. Al Sadr ha costruito la sua vittoria elettorale da lontano, riuscendo a convincere una larga fetta di popolazione delusa da anni di sofferenza ed insicurezza.

Se ad Al Maliki è stata imputata una gestione del potere troppo settaria ed orientata verso gli sciiti, circostanza questa che non ha mancato di favorire la popolarità dell’Isis nelle province sunnite, ad Al Abadi viene invece contestato un risultato poco onorevole nella lotta alla corruzione. Ecco perché nonostante la vittoria militare contro l’Isis, la sua lista potrebbe chiudere dietro quelle di Al Sadr e di Fatah. Il popolo iracheno vorrebbe sentir parlare di piani di sviluppo, lotta agli sprechi, alla corruzione e, in generale, un cammino verso una tanto attesa normalizzazione: Al Sadr questo lo ha capito durante questi quattro anni di legislatura, riuscendo a radunare più volte in piazza a Baghdad diversi suoi sostenitori e diversi cittadini, i quali più volte hanno inscenato vivaci proteste contro il governo.

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In quelle dimostrazioni di piazza, su volere dello stesso Al Sadr, a sventolare erano soltanto le bandiere irachene e non vessilli del suo movimento o di altri simboli ricollegabili allo sciismo. È stata questa forse la carta vincente di Al Sadr: le sue liste ed i movimenti da lui guidati hanno abbandonato progressivamente un aspetto settario e religioso, abbracciando invece obiettivi di respiro più politico e nazionale. Da qui si spiega la sua alleanza con il Partito Comunista e con altri partiti laici, in grado di far breccia anche in province non tradizionalmente a lui favorevoli. Per Al Sadr inoltre, vi è la soddisfazione di essere il più votato a Baghdad: nella capitale, in alcuni quartieri la sua coalizione sfiora il 35%, la città più grande dell’Iraq ha fatto piovere sul leader sciita migliaia di voti.

Le incognite per il futuro dell’Iraq

Ma adesso si apre una partita tutt’altro che semplice: l’unico dato certo è che il prossimo primo ministro sarà sciita, ma mettere assieme le principali liste che rappresentano la fede più praticata in Iraq non sarà semplice. Il titolare della maggioranza relativa, Moqtada Al Sadr, è contro l’influenza iraniana sul paese: emblematico in tal senso il suo viaggio a Riad nell’agosto 2017, quando ha incontrato il principe ereditario saudita Mohamed Bin Salman. Dall’altro lato, la lista Fatah è espressione dei movimenti filo iraniani ed armati da Teheran in funzione anti Isis; Al Abadi invece, il premier uscente, è fautore di una politica d’equilibrio tra Teheran e Riad. Dove si collocherà dunque l’Iraq nel prossimo futuro? La domanda sorge spontanea e non appare semplice la sua risposta.

Se a livello interno il posizionamento della lista di Al Sadr e di Fatah esprime un comune malcontento ed un orientamento, sempre più radicato nell’elettorato iracheno, di andare contro i partiti che hanno retto il paese dopo Saddam, a livello internazionale le due coalizioni uscite vincitrici sono decisamente agli antipodi. Se Baghdad sarà più verso Riad, Teheran oppure in una posizione di equilibrio lo si potrà sapere forse tra diverso tempo: formare un nuovo esecutivo non sarà semplice. Si potrebbe ipotizzare un’alleanza tra lisce sciite moderate ed i sunniti laici di Al Wataniya dell’ex premier Allawi, assieme ad altri partiti non confessionali: in tal caso, Al Abadi potrebbe avere chance di portare ancora avanti la sua politica.

Difficilmente però Al Sadr cederà lo scettro: l’obiettivo del leader sciita è monetizzare politicamente quanto più possibile da questa inaspettata vittoria. Il prossimo parlamento sarà comunque molto frazionato: oltre alle sopra citate divisioni interne agli sciiti, ci saranno almeno tre partiti sunniti e due formazioni curde, più varie liste locali e civiche. L’Iraq è alle porte dunque di una nuova stagione di “vacatio” politica, per sapere i futuri assetti a Baghdad bisognerà attendere forse ancora a lungo.