Lo scorso sabato il Consigliere per la politica estera della Guida Suprema iraniana Ali Khamenei, Ali Akbar Velayati, partecipando ad un forum svoltosi nella città iraniana di Qazvin, ha riconosciuto la comune visione di Iran e Cina sul dossier siriano, basata sul sostegno ad Assad.Per approfondire: La Cina in Siria al fianco dei russiLe dichiarazioni di Velayati seguono l’annuncio fatto dal Direttore della Cooperazione militare internazionale della Cina, Guan Youfei, che, proprio all’inizio del mese di agosto, ha incontrato a Damasco il Ministro della Difesa siriano, Fahad Jassim al – Freij. La visita, in cui sostanzialmente la Cina ha dichiarato la propria disponibilità a rafforzare i rapporti con le forze armate siriane e a fornire anche aiuti umanitari, segna una svolta della politica estera cinese e testimonia un maggiore interesse del colosso asiatico in Medio Oriente. La politica cinese rispetto alla crisi siriana in questi anni si è caratterizzata per un lento ma progressivo interesse della superpotenza asiatica nell’area mediorientale.I veti posti in sede di Consiglio di Sicurezza dell’Onu insieme alla Russia, in relazione a possibili iniziative contro Assad, hanno rappresentato una precisa presa di posizione rispetto alla storia recente. Non è un mistero che Pechino abbia duramente criticato i controversi interventi miliari in Iraq nel 2003 e in Libia nel 2011, puntando il dito in più di un’occasione sull’incapacità da parte degli Stati Uniti di gestire la fase post-conflict delle operazioni.nuova stripSulla base di queste considerazioni la Cina ha sempre cercato, attraverso la sua presenza nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di trovare una soluzione politica per la crisi in Siria evitando possibili salti nel buio che sarebbero potuti scaturire dalla rimozione di Bashar Al Assad. Pechino inoltre, che guarda positivamente alle operazioni militari russe in chiave antiterrorismo, segue con preoccupazione l’evoluzione del conflitto siriano e la minaccia rappresentata dai foreign fighters cinesi, almeno 300 combattenti secondo le stime più accreditate. Questi sarebbero partiti dallo Xinjiang, regione strategica per il progetto infrastrutturale della “Nuova Via della Seta”, dove una minoranza dell’etnia uigura ha stretto legami con al – Qaeda e, dall’inizio del conflitto siriano, con alcuni gruppi jihadisti operanti in Siria e in particolar ad Aleppo, all’interno delle varie sigle che compongono l’opposizione armata anti – Assad. La decisione di Pechino va quindi collocata anche come una strategia per fronteggiare il possibile ritorno in patria di quei combattenti che, dopo aver combattuto ed essersi addestrati in Siria, potrebbero compiere attacchi terroristici sul suolo cinese per destabilizzare lo Xinjiang.

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