Ci sono due notizie importanti da registrare negli ultimi giorni sul fronte dell’intelligence europea. La prima è la conclusione, avvenuta a Zagabria, di un accordo tra gli esponenti delle intelligence di 23 Paesi del continente, inclusi i principali, per la nascita del primo college europeo dell’intelligence. Pensata come una piattaforma comune di studio, riflessione e sensibilizzazione per amplificare il dibattito strategico sul tema tra i diversi Paesi e avviare la costruzione di una cultura dell’intelligence nell’opinione pubblica, l’iniziativa è stata l’occasione per una discussione ad alto livello tra gli esponenti dei servizi segreti di diversi Paesi.

E veniamo, dunque, alla seconda notizia fondamentale: la scelta delle intelligence europee per una linea elastica sul 5G cinese che da tempo rappresenta l’assillo strategico principale degli Stati Uniti sul fronte dei rapporti transatlantici. L’amministrazione Trump ha usato le armi della persuasione e della minaccia per convincere gli alleati (dalla Francia alla Polonia, dal Regno Unito all’Italia) a desistere dal coinvolgere i colossi cinesi come Huawei e Zte nella costruzione delle reti di telecomunicazione di quinta generazione, ritenute a rischio di infiltrazione e spionaggio.

Tra il vertice dell’intelligence e il compattamento di una posizione pressochè univoca tra i Paesi coinvolti nella campagna del 5G esiste un filo rosso evidente.

Dalla riunione di Zagabria traspare infatti una linea chiara: i Paesi europei si sentono sicuri di poter disporre degli strumenti politici, normativi e d’intelligence necessari a rendere vantaggiosa la partecipazione alla partita internazionale del 5G. “Il 5G è un’opportunità unica che non può essere lasciata andare, ma di cui vanno attentamente valutati i pericoli, anche alla luce degli allarmi lanciati dal Copasir che noi teniamo in debito conto”, ha spiegato a Formiche il prefetto Gennaro Vecchione,capo del Dis (Dipartimento per l’informazione e la sicurezza) della presidenza del Consiglio. “Penso che i nostri alleati possano stare tranquilli, confido che faremo tutto il possibile per minimizzare i rischi connessi allo sviluppo di queste tecnologie”, ha aggiunto, sottolineando dunque di fatto che il governo Conte II non si avvia affatto a mettere al bando le compagnie cinesi.

“Non escludiamo alcun operatore, l’ipotesi non è neanche presa in considerazione”, ha ribadito alla medesima testata Pierre de Bousquet de Florian, coordinatore per l’Intelligence e il controterrorismo francese. La presa di posizione dei capi dell’intelligence di due Paesi tanto rilevanti getta acqua sul fuoco dell’ambizione statunitense di poter contare sull’Europa dopo che, a febbraio, il primo ministro britannico Boris Johnsonaveva avuto un ruvido confronto telefonico con Trump riguardante la scelta di Londra di non procedere al bando di Huawei. Tra i governi cresce la sicurezza dell’affidabilità delle proprie forze e dei propri poteri di discrezione: dal golden power italiano all’efficace rete di cybersicurezza britannica, in tal senso l’evoluzione negli ultimi anni è stata impetuosa.

Vi è poi una questione di priorità geopolitiche. Che si sostanziano in imperativi assoluti sul lato statunitense, nel contesto di una rivalità con la Cina che ha assunto portata globale, ma assumono dimensione relativa nel quadro europeo, ove i Paesi non possono escludere un ragionamento economicistico dalla decisione sugli asset strategici. La convenienza del 5G cinese, per ora, non rende universalmente applicabili politiche come quelle insperatamente filo-europee promosse dalla Casa Bianca, che intende promuovere Nokia ed Ericsson come “campioni” del 5G europeo.

La stessa scelta di non inserire la cooperazione europea nel campo dell’intelligence sotto il comando Nato riflette la diversità degli approcci, che porta con se la diversificazione delle priorità geopolitiche. Sull’intelligence assistiamo a un tentativo europeo di fare sistema che riflette analoghe speranze in campi ove la sensibilità degli alleati transatlantici è diversa, quale quello della sovranità digitale perseguita dalla commissione von der Leyen. Basterà? Ancora presto per dirlo. Le future classi dirigenti europee necessitano di una crescente e vitale formazione sui temi delle scienze strategiche, dell’intelligence e della politica di potenza, e la cooperazione sulla cultura della sicurezza e la messa in campo di misure politiche che dimostrano una maggiore fiducia nei propri mezzi possono rappresentare un importante passo in avanti. Non c’è dubbio che sul lungo periodo la sicurezza globale e la stessa salute del campo occidentale beneficerebbero del ritorno in campo di una coalizione europea di Paesi capaci di iniziativa autonoma e, soprattutto, di un grado di discrezione decisionale tale da non rendere vincolanti i “consigli” della superpotenza americana.





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