Le sanzioni degli Stati Uniti alla Russia sono il primo segnale dell’inizio di una guerra di ampia portata fra Mosca e Washington che avrà come terreno di scontro il continente europeo, e il suo fabbisogno energetico. Con una mossa sola, il deep-State americano mette a segno una vittoria su tutta la linea che indebolisce Donald Trump, colpisce l’economia russa e insidia i contratti energetici fra Russia ed Europa, in particolare con la Germania. Una triplice vittoria che per il momento rende il futuro dell’Europa nel settore energetico decisamente burrascoso, con rischi incalcolabili per l’economia del settore dell’approvvigionamento di gas in Europa ma anche con significative ricadute in ambito più strettamente politico e di alleanze internazionali.

Lo Stato profondo americano, quello che risiede nel Congresso, e che ha in Donald Trump un avversario interno, considera la Russia il vero nemico da abbattere a livello internazionale. E tutti sanno che per farlo è necessario isolare Mosca dall’Europa, evitando che aumenti la sua collaborazione con i Paesi europei. C’è uno strumento, che più di ogni altro è in grado di colpire questa unione d’intenti fra Mosca e Vecchio Continente: il gas. Il gas è veicolo geopolitico per la Russia ed è un fondamentale strumento di collaborazione fra gli Stati europei e tutto il Paese eurasiatico. Il 70% del gas importato in Europa proviene dalla Russia. Una quantità enorme, che da una parte consegna le chiavi dell’Europa al Cremlino e dall’altra rende di fatto impossibile per gli Stati Uniti fare in modo che l’Unione Europea si stacchi completamente dalla Russia, perché sarebbe investita da una crisi energetica senza precedenti.





L’obiettivo principale di queste sanzioni resta, ovviamente, il North Stream 2. Un progetto che prevede il raddoppiamento della pipeline che distribuisce il gas russo direttamente alla Germania passando nel Mar Baltico. Il progetto è essenziale per l’economia tedesca, ma anche per molti altri Paesi coinvolti nella sua costruzione, così com’è essenziale per la Russia, che vorrebbe lanciarsi nella conquista definitiva del mercato gasiero europeo. Le aziende tedesche Wintershall e Uniper, l’anglo-olandese Shell, l’austriaca Omv e la francese Engie sono tutte aziende coinvolte in questo progetto, e si tratta di miliardi di euro di contratti di costruzione ma anche di potenziale distribuzione di 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno. E le conseguenze dell’annuncio delle nuove sanzioni, hanno già scatenato le proteste ma anche le reazioni dei partner europei del progetto. Pierre Chareyre, rappresentante della francese Engie, ha confermato a Le Figaro che “Nel caso in cui le sanzioni siano approvate, Engie potrebbe bloccare il finanziamento del progetto”. Il capo della Confindustria tedesca, Volker Treier, ha detto che “l’economia tedesca potrebbe risultare gravemente colpita” nel caso in cui le industrie tedesche fossero costrette a sospendere gli accordi di partnership con la Russia per il progetto. Ed anche le italiane come Eni e Saipem rimarrebbero particolarmente colpite, soprattutto grazie alle partnership con Rosneft e Gazprom e in qualità di aziende che collaborano nella costruzione di molti gasdotti e nella loro manutenzione.

L’Europa a questo punto si ritrova non solo indebolita, ma anche profondamente divisa. North Stream 2 è un progetto che non piace a tutti. Neanche all’Unione Europea. Molti Stati, soprattutto dell’Europa orientale, vedono con estremo timore la possibilità che la Russia accresca la dipendenza dell’Europa rispetto al proprio gas. Un timore confermato dal fatto che la Polonia abbia già preso accordi con gli USA per comprare gas liquefatto americano – di cui gli Stati Uniti sono fra i primi tre esportatori – evitando di dover dipendere dal gas di Mosca. Ma c’è anche un’altra Europa, quella meridionale, che ha spesso traballato sul gasdotto baltico e che avrebbe invece maggiori interessi nella diversificazione dell’approvvigionamento del gas in Europa. L’Italia in primis, almeno in termini politici, avrebbe molto più interesse all’aumento delle forniture di gas dal Mediterraneo Orientale, potendo diventare un hub, insieme alla Grecia, del gas proveniente da Israele, Cipro ed Egitto. E infine, l’Unione Europea, come organizzazione, ha sempre ritenuto necessario evitare di dipendere soltanto da uno Stato per il gas, soprattutto nel prossimo futuro, quando i giacimenti olandesi saranno ormai assolutamente modesti e quando l’uscita del Regno Unito dall’UE farà sì che Brexit porti via anche il gas britannico.

Quello che risulta chiaro, è che l’Europa è ormai il terreno di scontro di una guerra: la guerra del gas. L’ostilità fra Stati Uniti e Russia si gioca su più fronti, e il gas europeo è certamente uno dei più importanti. Perché fornire energia, non significa solo avere contratti miliardari e investimenti in un settore fondamentale dell’industria nazionale, ma anche imporre le proprie scelte politiche. Chi fornisce idrocarburi ha una chiave per indirizzare le scelte politiche dello Stato acquirente: una vera e propria golden share che la Russia per ora sembrava poter ottenere grazie alla Germania e che gli Stati Uniti vogliono strappare al Cremlino, sperando di imporsi nel prossimo futuro. I destini dell’Europa, purtroppo, sembrano dover essere decisi, ancora una volta, dalla sfida fra Washington e Mosca. E le aspettative, per ora, sembrano essere tutt’altro che positive per il futuro del Vecchio Continente.

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