In India i media e gli organi d’informazione non sarebbero più liberi di esprimere posizioni anti-governative e le emittenti a favore del primo ministro Modi si moltiplicano. Così la famosa stampa “democratica e libera” dell’India si starebbe trasformando in un enorme apparato di propaganda.
“Voglio che questo governo sia criticato. La critica rende forte la democrazia. La democrazia non può avere successo senza critiche costruttive “. Queste le parole del primo ministro Narendra Modi, pronunciate appena un anno fa: quando la sua leadership era ben salda e contornata dal consenso. Il successo elettorale del Partito Popolare Indiano (Bjp) nel 2014, del quale Modi era traino, si basava su due obiettivi primari: rimuovere la corruzione in India e rafforzare, e modernizzare, la democrazia affinché il popolo indiano esercitasse più liberamente le proprie scelte. Con il mutare delle circostanze favorevoli, però, anche la strategia mediatica del governo Modi è mutata, rilegando la stampa a svolgere più un ruolo da apparato di propaganda soft, che a mezzo d’informazione critica “costruttiva”.
A preoccuparsi di questa deriva è la rivista di analisi politica The Diplomat, che ha richiamato l’attenzione su questa inversione di rotta della stampa e dei media indiani, dove le emittenti “indipendenti” aumentano e si rendono altoparlanti del partito Bjp condizionando anche il resto dell’informazione.
Ora che il ministro Modi si trova ad affrontare una fase di sofferenza per il Paese, con un’economia indebolita e crescenti tensioni in tutti distretti, sembra che il primo ministro e gli organi del partito Bharatiya Janata si stano mobilitando per dirottare la stampa indiana – storicamente libera – verso la propaganda schierata in tutto e per tutto con il governo; per diffondere “la propria narrativa economica”, “castigare una minoranza musulmana” e “strumentalizzare le preoccupazioni della maggioranza induista”.
Questa deriva filo-governativa nella stampa viene denunciata proprio mentre l’India si prepara alle prossime elezioni del 2019, e si teme miri a promuovere una sorta di nazionalismo induista che appoggi un’egemonia “religiosa”e la promozione della cosiddetta “agenda Hindutva“ in un Paese ufficialmente laico. Una posizione in controtendenza con la linea precedentemente promossa dal partito di Modi, che raggiunse in successo elettorale proprio per merito delle sue posizioni moderate – nonostante la vicinanza allo Sangh Parivar, un’organizzazione di “gruppi estremisti indù che difendono il dominio induista sulle minoranze cristiane e musulmane”.
Il principale attore dell’informazione di cui è fatta menzione è la rete televisiva “Republic TV”, fondata nel 2017 da uno dei più famosiAnchorman indiani, Arnab Goswami. La teatralità delle trasmissioni descritta dai suoi detrattori la riporta come faziosa ed estremamente prevaricatrice, oltre che provocatoria e priva di ogni genere di contraltare che possa contraddire le posizioni sostenute. Il successo dei programmi e lo share raggiunto è stato tale da costringere le altre principali emittenti a modificare la propria programmazione (anche riguardo le posizione politiche) per bilanciare, o tentare di recuperare ascolti.
A questo va sommata la rivelazione che quasi “due dozzine di emittenti” sarebbero già ben disposte nel promuovere l’agenda Hindutva e influenzare “apertamente” con una copertura televisiva completa le elezioni del 2019; e una “fattoria di troll” che tramite i social opererebbe per attrarre consensi e condividere una visione “distorta” della realtà socio-politico-economica nel paese. I troll lanciano pesanti minacce a giornalisti e personaggi minori della scena politica. Alimentano come ormai siamo consueti citare l’odio comune, diffondono notizie false e intimidiscono chiunque prenda posizione contro la leadership.
Questa tattica tutta via non è una vera e propria novità nel panorama politico indiano, che già in passato aveva registrato influenze propagandistiche che giocavano a favore del partito al potere. Già l’Indian National Congress di Indira Gandhi , tra il 1975 e il 1978, si era prodigato per reprimere “sistematicamente” tutti i media e i giornali che sostenessero posizioni “critiche” nei suoi confronti.
Ad oggi, nonostante queste gravi accuse, il consenso per il primo ministro Modi sembra ancora estremamente ampio e potrebbe riconfermarlo, anche se con un vantaggio ridotto di diverse lunghezze, alle prossime elezioni. Quello che invece è certo, è che l’India non conosce la nostra assennata legge della “Par condicio“.