È durata poco l’avventura di Elyes Fakhfakh quale primo ministro della Tunisia: nella giornata di mercoledì l’ex manager di Total, designato nello scorso mese di febbraio per guidare il nuovo governo tunisino, ha rassegnato le dimissioni. La notizia è stata in seguito comunicata dalla stessa presidenza tunisina: l’incontro che ha suggellato la fine del governo di Elyes Fakhfakh si è tenuto all’interno do Palazzo di Cartagine, residenza del Capo dello Stato, con il presidente Kais Saied che ha suggerito all’oramai ex numero uno dell’esecutivo di fare un passo indietro. Del resto, su Fakhfakh già da giorni aleggiavano non poche ombre politiche: da un presunto conflitto di interessi passando per una mozione di sfiducia in procinto di essere presentata da Ennadha, il partito vicino alla Fratellanza Musulmana, il destino del governo Fakhfakh era quindi evidentemente già segnato. E questa non è una bella notizia per l’Italia: il nostro Paese, che in questo momento sta subendo una forte pressione migratoria proprio dalla Tunisia, è rimasto senza interlocutori con cui affrontare nell’immediato la questione relativa ai tanti barchini che approdano lungo le coste siciliane.

Con chi parlare adesso in Tunisia?

Proprio a metà luglio il ministro dell’Interno italiano Luciana Lamorgese ha tenuto una video conferenza con i suoi omologhi di tutta l’area mediterranea. Tra questi vi era anche il rappresentante del ministero dell’Interno tunisino. Obiettivo dell’incontro era quello di ribadire la necessità di un coordinamento per mitigare l’emergenza immigrazione. A luglio i dati per l’Italia sono allarmanti: già più di 2.000 arrivati a metà mese, quando invece nel 2019 nelle stesse settimane si era arrivati a malapena a 1.000. Un dato che va ad incidere significativamente sul bilancio complessivo di questo 2020, con il Viminale che ha registrato 9.771 migranti sbarcati dal 1 gennaio a fronte dei 3.186 che hanno riguardato i primi sette mesi del 2019. Appare quindi evidente la difficoltà italiana in questa precisa fase storica di mettere un freno all’opera dei trafficanti e dei gruppi criminali che organizzano i viaggi della speranza.

Tra i vari dati giornalmente aggiornati dal ministero dell’Interno italiano, ce n’è uno in particolare che riguarda la Tunisia: tra i quasi diecimila approdati nel nostro Paese nel 2020, ben 2.991 sono tunisini. Il flusso lungo la rotta che dal Paese nordafricano giunge a Lampedusa e tra le coste del trapanese e dell’agrigentino, in queste settimane specialmente è apparso inarrestabile. Da Biserta, così come da Sfax e da Sousse, le partenze sono oramai quotidiane specialmente dalla seconda metà di giugno. Tra sbarchi autonomi, carrette improvvisate sganciate da navi madri oppure veri e propri “sbarchi di lusso“, migliaia di tunisini sono partiti dalle coste del proprio Paese per giungere in Italia. Il Viminale specialmente aveva assoluta necessità di avere, dall’altro capo del Mediterraneo, un interlocutore stabile con cui poter dialogare per provare a mettere freno a questo andamento.

Adesso che il governo tunisino è caduto però, tutto potrebbe risultare molto più difficile. Se da un lato è vero che fino alla nomina di un nuovo premier i ministri uscenti resteranno in carica, è altrettanto vero però che nessuno può andare oltre la gestione dell’ordinaria amministrazione. Dunque, sarà impossibile per l’Italia negoziare accordi od intese per provare a dirimere la questione migratoria ed a ridimensionare i flussi. Ma non solo: a livello interno, la crisi di governo innescatasi in Tunisia potrebbe dare ai gruppi di trafficanti di esseri umani l’impressione di poter operare più tranquillamente in un contesto contrassegnato da nuova instabilità politica. Con conseguente possibile aumento nel numero delle partenze dal Paese nordafricano.

Come si è arrivati alla crisi in Tunisia

Adesso assicurare un nuovo esecutivo in seno all’amministrazione tunisina appare alquanto difficile. Del resto, già per formare il governo di Elyes Fakhfakh ci sono voluti mesi: dopo le elezioni dell’ottobre del 2019, dove nessuna forza partitica era riuscita ad avere una chiara maggioranza, si è arrivati all’indicazione del nome dell’ex manager della Total dopo quattro intensi mesi di trattative. Soltanto a febbraio si era riusciti a dare vita alla nuova compagine, con l’appoggio di diverse formazioni in grado di assicurare una maggioranza a sostegno del nuovo premier. Ma l’eccessivo frazionamento interno al parlamento uscito dalle legislative non faceva prevedere tempi molto lunghi di durata. Molte le divergenze interne alla stessa coalizione di governo: il premier Fakhfakh è infatti rappresentante di Ettakatol, partito di centro – sinistra che nelle legislative non ha preso alcun seggio, mentre 6 dei suoi 32 ministri fanno parte di Ennadha, la formazione vicina ai Fratelli Musulmani.

Proprio quest’ultima, già a giugno, ha posto le basi per la fine dell’esperienza di governo di Fakhfakh. Prima le accuse di conflitto di interesse, poi la promozione di una mozione di sfiducia da presentare assieme ad altri partiti, alcuni dei quali della stessa oramai ex maggioranza. Nel giro di poche settimane il quadro politico si è repentinamente deteriorato, fino ad arrivare all’incontro decisivo tra Fakhfakh ed il presidente Saied dopo il quale sono state sancite le dimissioni del premier.

Le prospettive future

Presente all’incontro tenuto all’interno di Palazzo dei Cartaginesi vi era anche Rached Ghannouchi: quest’ultimo è presidente del Parlamento ma soprattutto numero uno di Ennadha. Si tratta quindi forse del principale artefice della crisi di governo. Da qui le molte indiscrezioni che circolano da giorni sulla Tunisia: possibile una deriva spiccatamente marcata verso i Fratelli Musulmani? Ennadha, in particolare, vorrebbe vedere come nuovo primo ministro un membro del partito oppure una personalità ad esso vicina. E questo dopo che, per l’appunto, la formazione politica esprime già il presidente del parlamento mentre il presidente della Repubblica, pur non essendo vicino alla linea della Fratellanza, viene considerato filo conservatore. In poche parole, il Paese nordafricano potrebbe a breve essere governato da forze conservatrici o vicine all’Islam politico, a loro volta vicine al Qatar ed alla Turchia di Erdogan. Anche questa, tutto sommato, non è proprio una bella notizia per l’Italia.





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