L’escalation militare nel Mar d’Azov fra Russia e Ucraina riporta il Mar Nero al centro del mondo. Lo scontro fra la marina ucraina e quella russa per lo stretto di Kerch, con il sequestro delle motovedette ucraine da parte della Federazione russa, non è soltanto un incidente. È il segnale che la tensione fra Kiev e Mosca non è destinata a ridursi nel breve termine.

E il mare, in questo caso quello d’Azov, è al centro di una sfida che mette insieme, in maniera indissolubile, interessi economici, militari, politici e strategici. E se nel piccolo mare ci sono interessi contrapposti di tale portata, nel Mar Nero, del cui bacino fa parte quello conteso fra Russia e Ucraina, le cose si fanno ancora più difficili.

Un “lago” fra Oriente e Occidente

Guardando una qualsiasi carta geografica, il Mar Nero appare come un enorme “lago”, cui si accede solo dagli stretti turchi, incastonato fra Europa balcanica, Turchia, Caucaso, Russia e Ucraina. Una distesa d’acqua di circa 448mila chilometri quadrati in cui da sempre si scontrano le potenze e gli imperi che rappresentano l’Oriente e l’Occidente, ma anche il Nord contro il Sud.

Da sempre crocevia delle grandi potenze,negli ultimi decenni del Novecento il Mar Nero è apparso quasi marginalizzato proprio grazie alla rigida stabilità dei blocchi. Con un fronte sud appartenente al atlantico e un fronte nord appartenente a quello sovietico, anche a livello economico c’era una sorta di calma piatta.

La dissoluzione dell’Unione sovietica ha cambiato radicalmente la situazione. E ha spalancato le porte a una vera e propria rivoluzione copernicana per il Mar Nero. La nascita di nuovi Stati sovrani, il vuoto lasciato da una superpotenza e l’interesse di due attori (Stati Uniti e Unione europea) a prendere il controllo di quella regione, hanno stravolto le caratteristiche di questo bacino. E la rinascita della Russia come potenza internazionale unita all’ascesa della Turchia neo-ottomana pongono nuovi punti interrogativi a un mare che presenta numerose sfide.

Il Bosforo e la potenza turca

La Nato si è assicurata da tempo il Mar Nero grazie a una mossa fondamentale: l’inserimento di Grecia e Turchia all’interno dell’Alleanza atlantica. In questo mare si entra solo dal Bosforo. E gli Stretti turchi sono in mano atlantica. Una certezza che, unita all’appartenenza certa di Atene e Ankara nei piani Nato, di fatto permetteva a Bruxelles (e a Washington) di dormire sonni tranquilli. In quel mare, il controllo lo avevano, almeno per l’accesso, i comandi dell’Alleanza.

Il tutto regolato a un patto, la Convenzione di Montreux, che ancora oggi regola il passaggio per l’ingresso nel Mar Nero. La Convenzione, specialmente in ambito militare, impone l’obbligo di preavviso nei confronti della Turchia. Quindi chiunque voglia far transitare navi da guerra attraverso i Dardanelli e il Bosforo, deve prima di tutto comunicarlo ad Ankara per via diplomatica con non meno otto giorni di preavviso. In questa segnalazione, il comandante deve inserire anche “la composizione esatta della forza ai suoi ordini”.

Con la Turchia ancorata alla Nato e con la Grecia all’interno dell’Alleanza e dell’Unione europea, di fatto il passaggio era sicuro nelle mani degli alleati di Washington. Ma l’avvento della nuova Turchia di Recep Tayyip Erdogan ha cambiato il quadro della situazione. La Turchia, pur rimanendo formalmente nella Nato, si sta muovendo in maniera molto autonoma sul fronte dei rapporti con l’Alleanza ma soprattutto di quelli con Mosca. E queste relazioni sempre più positive fra i due imperi del Mar Nero hanno fatto porre più di un interrogativo al Pentagono. E hanno reso più instabile la porta d’accesso di questo specchio d’acqua.

Un cambiamento che si ripercuote anche sulla libertà di navigazione, principio che per gli Stati Uniti è primario (vedi anche nel Mar Cinese Meridionale), mentre non è tale Russia e Turchia, che al contrario sono perfettamente d’accordo sul fatto che il Mar Nero non possa essere oggetto di libertà di navigazione e transito per Stati che non siano rivieraschi. Quindi escludendo ogni potenza Nato ad eccezione della Turchia stessa. Paese che in questi ultimi anni, ha dato una forte spinta alla sua forza navale.

Tra Nato e Russia

La dissoluzione dell’Unione sovietica ha portato, tra le varie conseguenze, anche quello dell’allargamento della Nato in Europa orientale. Per quanto riguarda il Mar Nero, due sono gli ingressi particolarmente importanti: Bulgaria e Romania. Due ingressi che consegnano all’Alleanza atlantica due nuovi Stati rivieraschi. E che proprio per questo sono diventati centrali nell’ambito delle strategie Nato, come dimostrato anche dalla nascita della Black Sea Forces.

La questione diventa quindi particolarmente complessa, dal momento che avvengono due fenomeni paralleli e contrapposti: la rinascita della potenza russa e l’espansione del blocco occidentale. E il Mar Nero, da “lago” stabilizzato, ha rovesciato la sua situazione diventando di fatto uno specchio d’acqua di nuovo conteso fra le superpotenze. In particolare fra Cremlino e Casa Bianca.

Da un punto di vista prettamente navale, è chiaro che le forze dei Paesi entrati nella Nato sono nettamente inferiori al rivale russo. La marina bulgara e quella rumena hanno avviato non senza difficoltà un processo di “occidentalizzazione”. Ma le flotte sono numericamente e tecnologicamente inferiori (e di molto) rispetto a quella di Mosca. Ed è del tutto evidente che le due potenze navali reali in tutto il bacino sono Russia e Turchia. Specie nel momento in cui per diritto internazionale le potenze non rivierasche hanno tempi e modalità precise di presenza in questo specchio d’acqua.

Tuttavia è chiaro che la Nato, con quest espansione, ha preso due Stai essenziali, allargando il proprio controllo quantomeno su un’altra vasta parte di coste. E non è un caso che, in questo stesso periodo, si sia iniziato a parlare di partnership con l’Ucraina e di ingresso della Georgia, che rappresenta il confine meridionale del territorio russo sul Mar Nero.

mar nero situazione ucraina russia 2

La crisi in Ucraina e la fortezza “Crimea”

In questa sfida della Nato alla Russia e nel contrasto di Mosca all’accerchiamento che subisce da Bruxelles, va letta anche la questione ucraina. Quello che è avvenuto in Ucraina non è soltanto un cambio di governo: è stato un vero e proprio cambiamento geopolitico. Una rivoluzione nei rapporti fra Mosca e Kiev che ha condotto uno Stato a essere filo-atlantico dopo essere stata la certezza del confine sudoccidentale russo.

La guerra civile scoppiata a seguito di Piazza Maidan, con i separatisti filo-russi e l’esercito ucraino che si fronteggiano da anni in un conflitto opaco e molto violento, rappresenta ad oggi un conflitto pericoloso e incandescente. E ha portato a stravolgimenti politici in tutta la costa settentrionale del Mar nero.

Uno di questi, fondamentale, è stata l’annessione della Crimea da parte della Federazione russa. La Russia ha sempre considerato la Crimea la vera linea del fronte navale russo nel Sud. La Flotta russa del Mar Nero ha sempre avuto il suo quartier generale nel porto di Sebastopoli. E gli accordi che si sono susseguiti negli anni fra governi russi e ucraini hanno sempre confermato questo porto come l’attracco principale della forza navale russa in questo bacino.

Perdere la Crimea a seguito del rovesciamento di potere a Kiev avrebbe significato, per Mosca, una sconfitta enorme dal punto di vista strategico. E l’avvicinamento dell’Ucraina alla Nato avrebbe portato la flotta russa a dover contrastare un’eventuale presenza navale occidentale proprio al fianco delle coste russe. Una possibilità che per il Cremlino avrebbe significato una perdita strategica senza precedenti.

L’annessione della Crimea arriva quindi anche (anzi, soprattutto) a seguito di questa valutazione. Il Mar d’Azov era regolato da un accordo del 2003. E si è visto che non esclude rischi di escalation. Ma la sua porta, cioè lo stretto di Kerch e la Crimea, non potevano andare perduti.

La militarizzazione che ne è seguita, è l’esempio lampante della fortificazione che ha voluto Vladimir Putin di quello che è il vero e proprio bastione della Russia nel Mar Nero. E oggi, nonostante non sia riconosciuta a livello internazionale, è impossibile considerare la Crimea un territorio non appartenente a Mosca. Se non altro perché la presenza di flotta, aeronautica, fanteria e artiglieria, la rendono praticamente inespugnabile senza scatenare una guerra senza precedenti.

Aree di crisi sulle rive del Mar Nero

Ma se l’Ucraina rappresenta la crisi per eccellenza che ha investito e continua a investire il Mar Nero, non bisogna dimenticare che esistono altre aree di crisi estremamente complesse e non prive di rischi. Conflitti dimenticati nel tempo e che sembrano essere lontani ricordi, ma che invece rappresentano a tutti gli effetti dei veri e propri punti di domanda. Che possono incidere – e molto – sulla stabilità di questo mare.

Le minacce alla sicurezza regionale e globale sono molte. La prima, ad esempio, è la conflittualità fra Georgia e Russia, che si è manifestata soprattutto nel 2008 con un vero e proprio conflitto esploso per l’Ossezia del Sud. Quella guerra, che è avvenuta solo 10 anni fa, non si è conclusa definitivamente. L’Ossezia rappresenta ancora un problema irrisolto. E non è un caso che Mosca abbia già lanciato l’allarme sull’allargamento della Nato a Tbilisi.

Irrisolto è ancora il problema dell’Abkhazia, per certi versi molto simile a quello che riguarda l’Ossezia del Sud. L’Abkhazia è formalmente parte della Georgia ma si è già proclamata una repubblica indipendente protetta dalla Russia. I venti di guerra soffiano costantemente su Sukhumi, la capitale dell’autoproclamata repubblica. E anche in questo caso, trovandosi sulle rive del Mar Nero, il problema è anche capire chi può avere il controllo della costa est: se una repubblica filo-russa o un Paese sempre più vicino alla Nato.

L’energia del Mar Nero

Quello che è importante nel Mar Nero non è solo ciò che è in superficie, ma anche quello che scorre sotto: in particolare i gasdotti. Dai giacimenti russi, è questa la via principale per raggiungere l’Europa balcanica: e lo fanno arrivando in Turchia. I primi giorni di novembre, Putin ha incontrato Erdogan per inaugurare il completamento della parte off-shore del Turkish Stream.

La politica energetica è particolarmente importante per comprendere la strategia del Mar Nero. Il Turkish Stream e il Blue Stream uniscono Mosca e Ankara rendendo la Turchia uno dei punti d’approdo principale dell’oro blu russo in Medio Oriente e in Europa. E il progetto South Stream, per ora messo da parte dall’Unione europea, vedrebbe in ogni caso il gas di Mosca transitare nei fondali di quel bacino evitando soprattutto di attraversare i Paesi dell’Europa orientale.