Donald Trump non ha dimenticato l’Italia. E la telefonata di ieri sera fra il presidente degli Stati Uniti e il presidente del Consigli, Giuseppe Conte, è l’ultima immagine di un ritorno in forza del nostro Paese nell’agenda della Casa Bianca. Una telefonata che arriva a pochi giorni da un’altra conversazione telefonica fra i due leader e che conferma un contatto continuo.
Il leader Usa sa perfettamente che Palazzo Chigi ha estremamente bisogno di lui: e questo fatto, che può essere anche interpretato come un errore, pesa non poco sui rapporti fra Trump e l’Italia, dal momento che Washington ha ben chiaro di poter condurre tranquillamente il gioco e far tornare il governo giallo-verde nei ranghi dopo che per qualche mese si erano avute parecchie frizioni.
L’apparente assenza americana dallo scacchiere libico aveva fatto capire, ancora una volta, che da parte italiana c’era tutta la volontà di riallacciare i rapporti, visto che Washington può cambiare radicalmente il corso del conflitto in base ai rapporti che ha con tutte le potenze coinvolte e le fazioni presenti nel Paese nordafricano. E il ritorno in campo di Trump fra Tripoli e Bengasi è stato un messaggio chiarissimo.
Il problema è che adesso per l’Italia arriva il momento di regolare i conti. Perché il governo che più di tutti si era presentato come alleato dell’amministrazione americana non ha dimostrato abbastanza al’attuale inquilino della Casa Bianca. E questo incide – e non poco – nelle attuali decisione di Washington sul conflitto e anche sulla presa di posizione nei confronti di Roma. Il credito concesso al governo giallo-verde è quasi esaurito, e Trump vuole passare all’incasso. Partendo proprio dalla Libia.
La telefonata a Khalifa Haftar è stato un primo segnale. Trump ha fatto capire all’Italia di poter cambiare il corso della guerra. Ma l’immagine che ha dato con il comunicato della Casa Bianca è che non è stata l’agenda italiana a essere applicata, ma quella di Washington. Come scritto nello stesso comunicato della presidenza statunitense, Trump ha chiesto una soluzione pacifica al conflitto pur ribadendo il ruolo del maresciallo della Cirenaica nel complesso scenario libico. Un’immagine ben differente rispetto alla condanna che volevano da Roma e dintorni, ma che ha dimostrato che sulla Libia, più che la “pax italica“, si voglia applicare la “pax americana“.
Strategia in cui l’Italia può inserirsi, ma di certo non più con lo stesso peso che avrebbe potuto avere prima di quelle mosse che hanno fatto scomodare i vertici della Casa Bianca. Palazzo Chigi voleva un dura presa di posizione nei confronti di Haftar e delle potenze indirettamente coinvolte nell’avanzata su Tripoli: quello che è giunto, invece, è stato anche un pieno riconoscimento del ruolo del suo esercito nella guerra al terrorismo. Per Roma non una sconfitta, visto che a Palermo aveva già dimostrato di voler aprire più di un corridoio con il generale, ma di certo non un favore da parte di The Donald.
E sul fronte libico, è interessante che nel tweet di Trump sulla telefonata al capo del governo italiano sia stata citata proprio l’immigrazione: un tema che certamente accomuna i due attuali governi, ma da punti di vista molto diversi e con scenari molto differenti fra loro. Ma perché Trump ha parlato espressamente di immigrazione? Certamente non perché Conte sia interessato alla frontiera con il Messico e al muro né perché Trump cerchi il consiglio del premier, quanto per mandare un avvertimento al governo italiano: “Sappiamo che il problema della Libia è anche l’immigrazione”. Il che si può tradurre in un modo molto semplice: gli Stati Uniti possono giocare la carta libica per dire ad Haftar e alle altre fazioni di non aprire i rubinetti dell’emigrazione verso l’Italia. Ma questo ha un prezzo: per esempio che l’esecutivo italiano non contraddica la strategia americana.
E in serata è arrivato l’altro segnale: l’ultimo di una lunga serie. Prima della telefonata fra Conte e Trump, il presidente Usa ha cancellato le esenzioni sul blocco al petrolio iraniano. Fra i Paesi esenti c’era anche l’Italia, dal momento che il governo aveva dimostrato (a quel tempo) una perfetta sinergia con Washington. Ma l’esenzione, proprio da ieri sera, è finita.
Sia chiaro, si sapeva che sarebbe durata per il tempo necessario alla strategia americana e non certo per gli interessi dei Paesi esentati. Ma è stato un messaggio particolarmente cristallino di come si comportano gli Stati Uniti di Trump: sono loro la superpotenza e loro dettano le condizioni. E dopo la questione trivelle e i rapporti energetici con la Russia, Washington ritiene che sul fronte degli idrocarburi l’Italia si stia comportando in maniera non particolarmente utile agli interessi Usa e dell’Alleanza atlantica. E infatti, è arrivata la mannaia. Forse inevitabile, ma certamente molto netta e senza possibilità di compromesso. E l’idea è che adesso non sia più l’Italia a tentare di chiedere, ma gli Stati Uniti a imporre e eseguire i piani Usa. L’idea è che Trump stia dando una lezione chiarissima a tutti, Italia in primis. Per lui è importante l’interesse economico e politica americano. La Libia è solo una leva contrattuale.