Le elezioni legislative di Papua Nuova Guinea potrebbero ridisegnare gli equilibri strategici del Pacifico. Gli elettori di questa nazione dell’Oceania, che si trova a metà strada tra l’Australia e le Filippine, si sono recati alle urne per determinarne il futuro del Paese e continueranno a farlo nei prossimi giorni. La configurazione di Papua, ricoperta da foreste, alte catene montuose e precarie vie di comunicazione, favorisce frodi e ritardi elettorali. Più di duemila candidati, appartenenti ad una miriade di movimenti legati ad interessi tribali, si contenderanno i 118 seggi del Parlamento. Nella storia nessun partito ha mai ottenuto la maggioranza dei seggi, anche a causa di un sistema elettorale proporzionale che favorisce l’instabilità.

Il Pangu Party del primo ministro uscente James Marape ed il People’s National Congress Party dell’ex premier Peter O’Neill dovrebbero comunque contendersi la vittoria ed entrambi hanno dichiarato, come riportato dal Guardian, che Papua Nuova Guinea “è amica di tutti e nemica di nessuno”. Il Paese intrattiene rapporti diplomatici cordiali con Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti, con cui coopera nell’ambito della difesa ma anche con la Cina, che ha investito nel settore minerario locale e che sta espandendo la propria influenza nel Pacifico. Sulle urne grava, poi, lo spettro delle contestazioni elettorali e delle violenze: cinque anni fa persero la vita oltre 200 persone.

Gli obiettivi della Cina e le reazioni nel Pacifico

La Cina, come riportato dallo United States Institute of Peace, vuole incrementare la propria presenza nella regione per contenere l’influenza esercitata dagli Stati Uniti, in particolare limitando la proiezione della potenza militare americana nel caso di un potenziale conflitto a Taiwan. A livello economico Pechino guarda con interesse alle risorse marittime, al commercio ed alle rotte navali mentre dal punto di vista diplomatico la regione può rivelarsi conveniente per la Cina.

Relazioni più forti nel Pacifico possono aiutare Pechino ad isolare Taiwan acquisendo voti in favore presso le Nazioni Unite e migliorando la propria immagine presentandosi come un partner affidabile ed una possibile alternativa alle altre grandi potenze nella regione. Diverse nazioni del Pacifico sono sospettose nei confronti delle intenzioni della Cina mostrando scetticismo nei confronti di Pechino. L’opinione pubblica delle isole Kiribati è contraria ad un avvicinamento alla Cina nel timore che ciò possa compromettere le proprie riserve di pesce mentre  il Capo di Stato della Micronesia David Panuelo ha utilizzato parole di fuoco nei confronti di Pechino.

Gli Stati Uniti e gli alleati rispondono alla sfida cinese

Gli sforzi fatti dalla Cina, nel corso dell’ultimo anno, per espandere la propria influenza nel Pacifico del Sud, dove ci sono più di una dozzina di paesi impoveriti che dipendono dal commercio e dagli aiuti ricevuti dalle nazioni più grandi, hanno allarmato l’Australia e gli Stati Uniti. La reazione non si è fatta attendere ed ha preso la forma del gruppo Blue Pacific, un’alleanza nata, come ricordato da Voice of America, per “reagire alle pressioni crescenti sull’ordine internazionale” e che vede la partecipazione di Giappone, Nuova Zelanda e Regno Unito.

Carl Thayer, professore di scienze politiche all’Università del Nuovo Galles del Sud in Australia, ha dichiarato a Voice of America che “il Pacifico del Sud è stato riscoperto ed ora Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Stati Uniti hanno una marcia in più”. La formazione del gruppo va ad inserirsi in una strategia americana più ampia che include l’accordo, raggiunto a settembre, con Australia e Regno Unito per la condivisione di tecnologie militari e la partecipazione di Australia, Giappone, India e Stati Uniti al Quadrilateral Security Dialogue (Quad) per tutelare i propri interessi nell’Indo-Pacifico.

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