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Questa settimana, il presidente cinese Xi Jinping ha effettuato il suo primo viaggio all’estero dallo scoppio della pandemia. Il leader cinese si fermerà in Uzbekistan e in Kazakistan, dove incontrerà il presidente Vladimir Putin, dopodiché parteciperà al vertice della Shanghai Cooperation Organization (Sco), un organismo intergovernativo di cui fa parte la Russia e i vicini eurasiatici della Cina dell’ex Asia Centrale Sovietica fondato una ventina di anni fa per volere di Pechino.

Data la situazione bellica in Ucraina, che vede le forze russe in ritirata da Kharkiv e sotto pressione a Kherson, e con Mosca isolata dall’Occidente e sottoposta a sanzioni che cominciano a incidere profondamente l’economia russa, si sarebbe portati a credere che il presidente Xi Jinping stringerà ulteriormente i legami strategici con la Russia e concederà nuove garanzie diplomatiche e mezzi di sussistenza economici. Questa spiegazione del viaggio asiatico del leader cinese, però, facilmente potrebbe essere un errore.

Negli ultimi due decenni, Pechino ha investito molto nella costruzione di forti legami coi suoi vicini dell’Asia Centrale, con una proiezione verso l’Oceano Indiano oltrepassando il rivale indiano: la Cina, infatti, ha in essere dal 2013 un accordo col Pakistan per un “corridoio economico” (Cpec) costituito da una serie di progetti infrastrutturali finanziati da Pechino che si possono inquadrare nella più grande Belt and Road Initative (Bri), che, come sappiamo, in alcuni casi può assumere sfumature di carattere militare quando si tratta della costruzione di scali portuali.

La possibilità per la Cina di penetrare maggiormente in quei Paesi dell’Asia Centrale che facevano parte dell’Unione Sovietica e che ora ricadono nella sfera di influenza russa, si è aperta proprio a seguito delle azioni russe in Ucraina (2014): gli “stan” asiatici si sentono minacciati da Mosca, perennemente sotto pressione, e in cerca di altri partner.

Il Kazakistan, in particolare, ha trovato il modo di mettere un po’ di distanza tra sé e Mosca approfittando di questioni energetiche connesse all’attuale conflitto ucraino: lo scorso luglio il presidente del Kazakistan Kassym-Jomart Tokayev ha annunciato la necessità di diversificare le rotte petrolifere dal Paese definendo prioritario il Trans-Capsian Pipeline, ovvero esprimendo la volontà di proseguire le consegne di gas in Europa aggirando la Russia. Tokayev aveva rilasciato la dichiarazione il giorno dopo che un tribunale russo aveva ordinato la sospensione del terminal offshore del Caspian Pipeline Consortium per 30 giorni che avrebbe bloccato l’accesso degli idrocarburi kazaki al mercato mondiale attraverso la Russia. Qualcosa che è avvenuto per la terza volta nel solo 2022.

Quindi per il presidente cinese si aprono nuove porte per espandere l’influenza di Pechino in Asia Centrale, sebbene vi sia anche la necessità di non urtare la “sensibilità” dello “strano amico” russo dimostrandogli, nel contempo, il proprio appoggio. Si apre quindi un dilemma: se la Cina si dimostrerà troppo affine alla visione della Russia, è molto probabile che i Paesi dell’Asia Centrale ne siano turbati, creando divisione all’interno della Sco. Sarebbe poi tremendamente miope scegliere il momento della massima ritirata tattica russa in Ucraina per appoggiare ulteriormente Mosca: comunicherebbe una scelta di campo netta che Pechino non vuole, non solo per non preoccupare i suoi vicini asiatici, ma anche per evitare di venire iscritta nella lista nera dell’Occidente, stante l’interdipendenza commerciale che la lega in particolar modo con l’Europa, da dove importa la maggior parte delle componenti ad alta tecnologia.

Per questo motivo sembra più probabile che il presidente Xi Jinping continui una politica ambivalente, da un lato fornendo supporto diplomatico alla Russia e rinnovando gli impegni della “strana amicizia” tra Pechino e Mosca, la cui logica e obiettivo principale è controbilanciare Washington e sostenere quelle istituzioni globali funzionali per la propria politica, dall’altro continuando di fatto a rispettare le sanzioni occidentali per evitare di diventare un bersaglio al pari della Russia, utilizzando nel contempo una retorica politica di “stabilità” volta a placare le nazioni e i partner dell’Asia Centrale, messe a disagio per la guerra in Ucraina.

La Cina è una potenza più forte della Russia, e i suoi interessi sono più globali e più sfaccettati. L’obiettivo di Pechino è sicuramente quello di preservare la sua intesa con la Russia a livello strategico, per controbilanciare la potenza americana e la crescente pressione economica sulla Cina da parte dell’Occidente, ma vuole farlo senza dover sostenere Mosca a livello tattico, poiché trae vantaggio da questa particolare situazione che ha esautorato la Russia dal mercato globale, evitando nel contempo le sanzioni occidentali e costruendo relazioni con Paesi, come quelli dell’Asia centrale, che hanno paura della Russia.

Questo particolare equilibrio sarebbe difficile da raggiungere se la Cina dovesse sostenere apertamente la Russia o la sua guerra in Ucraina, ed è anche per questo che, a quasi sette mesi di conflitto, non si sono visti armamenti di fabbricazione cinese in uso nell’esercito russo.

Pertanto la notizia che Li Zhanshu, stretto alleato politico di Xi Jinping e funzionario numero tre del Partito Comunista Cinese (Pcc), “ha espresso sostegno all’invasione russa dell’Ucraina” durante un incontro con Putin a Vladivostok, riteniamo che sia solo l’approccio cinese alla diplomazia in generale, fatto di dichiarazioni e promesse che, spesso, restano tali. I resoconti ufficiali cinesi degli incontri di Li Zhanshu, infatti, non menzionano nemmeno la parola “Ucraina”.

Poiché la Cina ha investito molto nella Sco, Pechino sarà molto sensibile alle preoccupazioni dei suoi vicini asiatici e, al contrario di Mosca, ha molto più peso politico nell’organizzazione. Ad esempio al vertice Sco del 2008 a Dushanbe, in Tagikistan, l’allora presidente Dmitri Medvedev aveva tentato di convincere il gruppo ad approvare l’invasione russa in Georgia, ma gli altri membri dell’organizzazione avevano rifiutato, con la Cina che aveva raccolto gran parte dell’opposizione, anche perché lo smembramento di Stati sovrani avrebbe potuto creare un precedente in grado di minare la pretesa cinese di sovranità su Taiwan. Lo stesso principio che ha spinto Pechino a non riconoscere l’annessione della Crimea nella Federazione Russa.

Oggi la Cina è molto più influente (e forte) rispetto al 2008, e anche i Paesi dell’Asia Centrale sono più strutturati – con tutti i distinguo del caso – pertanto è molto probabile che esprimeranno chiaramente il loro disagio nei confronti della Russia a Pechino, rendendo improbabile che la Sco approvi le azioni di Mosca. In ultima analisi è molto improbabile che la Cina dedichi l’intera settimana esclusivamente alle relazioni con la Russia preferendo estendere e migliorare le sue relazioni coi Paesi dell’Asia Centrale, funzionali anche al contenimento del panturchismo – e relativi sentimenti irredentisti – in modo da evitare ulteriori sommosse nel turbolento Xinjiang.

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