È inevitabile operare delle considerazioni su come, dopo lo sventato colpo di stato in Turchia, si sarebbe aperta una nuova stagione delle relazioni bilaterali russo-turche. Da più punti di vista ci si convince che Recep Tayyip Erdogan sia stato informato dell’imminente golpe militare da parte dei servizi di intelligence russi, in quanto, anche per un semplice ragionamento per esclusione, sono gli unici servizi segreti incredibilmente efficienti ad avere tutto l’interesse a mantenere il Sultano al suo posto.  Lo scrittore e giornalista russo Nikolai Starikov – presidente del partito della Grande Patria russa – sostiene con buona sicurezza che gli unici nella posizione di poter avere tali tipi di informazioni erano proprio gli agenti del FSB, in quanto Mossad, CIA e MI6 portatori di interessi più conniventi al putsch che non a salvare il posto ad Erdogan.Ciò sicuramente non si traduce immediatamente in un amore ritrovato tra Putin e il Sultano, vi sono attriti passati che difficilmente saranno rimossi. Ma la logica della scacchiera e del mantra del “il nemico del mio nemico è mio amico” oggi spiega in maniera esaustiva questa mossa russa. Oggi Erdogan è in maretta con gli alleati americani, il pugno duro sul sequestro della base Nato di Incirlik è soltanto una chiara presa di posizione del presidente turco, che vuole far capire alle controparti occidentali di non essere uno sprovveduto. Ma qualora non vi fosse uno spiraglio per normalizzare le relazioni del triangolo Ankara-Washington-Bruxelles, il Cremlino resta alla finestra ad osservare compiaciuto. Una Nato debole alle porte del principale scenario di guerra attuale fa entrare in gioco una nuova forza contrattuale per Mosca, che potrebbe strappare dei buoni parametri di dialogo ad Ankara circa la stabilizzazione dell’area. In Russia non si sono dimenticati di quello che è avvenuto lungo il confine turco-siriano nei mesi scorsi, con l’evidenza delle prove del sostegno della Turchia all’Isis, e dell’insorgenza di evidenti attriti tra Russia e Anatolia più che altro perché quest’ultima ha messo i bastoni tra le ruote ai russi. Oggi è inevitabile che uno stato islamico forte come la Turchia si pone in una forte posizione di dialogo per la spartizione delle influenze in Medio Oriente, che va a ripercuotersi anche sulla tenuta di altri scenari geograficamente prossimi. Sul tavolo c’è anche la questione del Nagorno-Karabakh, per la quale entra in gioco la posizione iraniana, che appoggia Baku, che potrebbe essere una pedina importante per migliorare le relazioni del piccolo Paese con Mosca e scartare Washington. Nel vertice trilaterale Putin-Aliyev-Rouhani che si terrà l’8 di agosto a Baku, in Azerbaijan, si discuterà del corridoio di transito Nord-Sud – oltre che della situazione terrorismo in Siria -, e in tale occasione sapremo chi avrà ragione.In questo intreccio politico complicato, tuttavia, è necessario parlare anche di cose concrete: un paio di giorni fa il portavoce del Presidente Putin, Dmitry Peskov, ha ufficializzato a Tass che durante i primi giorni di agosto, Erdogan si recherà in Russia – data esatta e luogo ancora da stabilirsi – per un incontro vis-à-vis con il presidente russo; un fatto straordinario dopo i mesi trascorsi in tenzone reciproca. Con buona probabilità, la questione più importante sul tavolo sarà la ripresa delle trattative per la realizzazione del Turkish Stream, il gasdotto che, con i suoi 63 miliardi di metri cubi all’anno, costituirebbe una fondamentale fonte di approvvigionamento di gas naturale per l’Europa meridionale. Inevitabile prendere in esame l’importanza di questa mossa: riprendere il discorso Turkish Stream significa accantonare l’Ucraina come principale fronte di transito per il gas e, ancora una volta, ostacolare la realizzazione di un progetto parallelo, quello del gasdotto TANAP-TAP, che porterebbe il gas del Mar Caspio attraverso la Turchia in Europa, pensato proprio per ridurre la presenza russa nella politica energetica del continente.Insomma, quando si dice che uno dei vincitori di questo affaire è Putin, non si dice una bugia. In ciascuno degli scenari in cui Mosca è coinvolta, la possibilità che Washington possa allentare la presa con inconvenienti di questo tipo, dà ragione alla strategia intrapresa dal Presidente russo negli ultimi due anni e mezzo, generando imbarazzo circa l’inconcludenza dei piani statunitensi in una regione in cui le criticità non sono mai mancate.





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