La Russia ha un problema risalente all’epoca zarista che è chiamato “Siberia ed Estremo oriente” (Сибирь и Дальний Восток). Infatti, sebbene 110 milioni di russi, su una popolazione totale di circa 145 milioni, vivano nella cosiddetta parte europea, che occupa soltanto il 23% del territorio della federazione, la parte che giace al di là dei monti Urali è stata storicamente spopolata ed utilizzata per attività estrattive o, nei tempi staliniani, per inviare criminali e dissidenti politici al confino nei celebri gulag.

Sviluppare la parte più remota e selvaggia del paese, ma anche la più ricca di risorse naturali, rientrava fra gli obiettivi di lungo termine delineati da Vladimir Putin a metà dei primi anni 2000, ma la lotta al terrorismo e al separatismo nord-caucasico, le pressioni provenienti dalla Nato e, infine, il regime sanzionatorio legato alla questione ucraina, hanno costretto il Cremlino a posare lo sguardo su altri dossier.

Nei tempi recenti, il timore di una possibile “colonizzazione cinese” della Russia profonda e l’emergere di regionalismi miranti all’autonomia, e all’indipendenza, hanno spinto il presidente russo a riaprire il fascicolo sullo sviluppo infrastrutturale e sul ripopolamento della Siberia e dell’Estremo oriente.

Il piano

Mantenere uno stretto controllo su tutto ciò che si trova oltre gli Urali è un imperativo geostrategico dal quale dipende la sicurezza nazionale del paese. Siberia ed Estremo oriente compongono il 77% del territorio nazionale, ospitano i più grandi depositi del pianeta di diamanti, terre rare, metalli preziosi come oro, argento e platino, metalli basici come nickel, rame e zinco, e contengono circa il 70% dei giacimenti di gas e petrolio del paese.

Ma le rigide temperature, che possono facilmente superare i 30 gradi sotto lo zero, e l’assenza di uno scheletro infrastrutturale hanno, fino ad oggi, reso difficile l’elaborazione di un piano di sviluppo e ripopolamento controllato e la regione resta la più scarsamente abitata del pianeta, con una densità di 3 abitanti per chilometro quadrato. Al Cremlino mancano le risorse, ma un ulteriore ostacolo è dato dalla difficoltà nel convincere imprese e cittadini a trasferirsi negli oblast più gelidi e poveri del paese. I cinesi, d’altro canto, hanno sfruttato la finestra aperta inviando migliaia di lavoratori ed investitori, coinvolti soprattutto nel settore del legname, riaccendendo tensioni mai sopite con i residenti.

Il 2024 è alle porte e Putin vorrebbe gettare i semi per la risoluzione della secolare questione della Russia asiatica prima che termini il suo ultimo mandato presidenziale, così da facilitare il lavoro ai successori.

L’ultima iniziativa lanciata dal presidente russo riguarda la creazione di una compagnia aerea interamente dedicata a voli aventi come destinazione le città più remote dell’Estremo oriente. La compagnia, che potenzierebbe la copertura attualmente garantita da Aurora, fondata nel 2012 per alimentare il turismo infranazionale, dovrebbe utilizzare velivoli interamente prodotti a livello nazionale, fungendo al tempo stesso da propulsore per l’industria aerospaziale e per il ripopolamento – rendendo gli spostamenti più rapidi ed economici.

Il governo dimissionario avrebbe dovuto elaborare uno studio di fattibilità da consegnare alla presidenza entro il 31 gennaio ma, alla luce degli avvenimenti recenti, è altamente probabile che il compito venga trasferito alla squadra che il nuovo primo ministro Mikhail Mishustin sta formando.

Un altro punto fondamentale del piano riguarda gli investimenti stranieri. Nel 2015 è stato dato vita al Forum di Vladivostok con l’obiettivo di attrarre i grandi imprenditori asiatici per controbilanciare il dinamismo cinese nella regione. Giappone, Corea del Sud e India, sono stati i grandi protagonisti di ogni edizione dell’evento e decine di contratti sono stati siglati, portando diverse grandi corporazioni ad aprire stabilimenti. L’idea è quella di trasformare la regione in un polo attrattivo per il capitale internazionale, nell’aspettativa che ciò spinga i lavoratori a trasferirsi in massa.

Dopo aver introdotto una legge, nel 2016, che concede un ettaro di terra gratuito ad ogni cittadino russo che scelga di trasferirsi nell’estremo oriente, il governo centrale ha stanziato quasi 5 miliardi di rubli destinati alla costruzione di strade e ponti e all’aumento delle capacità di copertura di reti idriche ed elettriche. Secondo le elaborazioni più ottimistiche, almeno 30 milioni di russi potrebbero considerare di trasferirsi nella regione se il governo fosse capace di affiancare grandi opere pubbliche ed un’economia dinamica alla redistribuzione della terra.

Gli ostacoli

Non sono ancora presenti delle statistiche ufficiali inerenti i risultati conseguiti in tre anni di focus governativo sullo sviluppo della Siberia e dell’Estremo oriente. Ciò nonostante, stando a sondaggi d’opinione effettuati all’indomani dell’entrata in vigore della legge sulla redistribuzione della terra, era emerso come una parte considerevole della popolazione guardasse con favore all’idea di ripopolare la Russia profonda e che, come scritto, almeno 30 milioni di cittadini avessero manifestato interesse.

Le pressioni economico-militari provenienti dall’arena internazionale stanno però impedendo al governo di destinare i fondi necessari e desiderati ai piani per l’Est russo, un fatto che ha infine spinto il Cremlino ad inaugurare il forum economico di Vladivostok.

In questo contesto si inquadrano anche i recenti cantieri aperti nell’Artico e nel cuore della Siberia da parte delle grandi firme nazionali dell’energia, che stanno costantemente aumentando le attività esplorative alla ricerca di nuovi giacimenti.

La scoperta di grandi bacini di risorse, infatti, ha come naturale conseguenza lo spostamento di masse di lavoratori da altre parti del paese. Fu proprio il fattore economico a guidare la colonizzazione della Russia profonda in epoca zarista e sovietica, portando alla nascita di città industriali e minerarie che, però, nella maggior parte dei casi sono state abbandonate a sfruttamento del sottosuolo terminato.

Oggi come in passato, il più grande ostacolo che Mosca deve affrontare continua ad essere rappresentato dalla difficoltà di rendere la Siberia e l’estremo oriente delle terre appetibili per residenze permanenti, rompendo lo stereotipo radicato, sia fra gli autoctoni che fra gli stranieri, dello “sfrutta e sfuggi“.