A due anni dall’ultimo incontro ufficiale del Consiglio di cooperazione di alto livello, nel pomeriggio dell’8 settembre si terrà il sesto vertice di questo importante formato di dialogo e cooperazione. La decisione di riportare alla luce la piattaforma, dopo due anni di silenzio, avviene sullo sfondo di una cooperazione bilaterale sempre più intensa nel nome di un comune obiettivo: controbilanciare l’influenza dell’asse arabo-israeliano in Medio Oriente.

Il vertice di oggi

Nel pomeriggio dell’8 settembre avrà luogo il sesto vertice del Consiglio di cooperazione di alto livello, una piattaforma di dialogo per lo sviluppo e il potenziamento della cooperazione bilaterale turco-iraniana sul piano regionale ed internazionale stabilita nel 2014 e i cui lavori erano fermi dal 2018. L’incontro non avverrà in forma fisica per via della pandemia, i partecipanti vi prenderanno parte da remoto, e sarà co-presieduto dal presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, e dall’omologo iraniano, Hassan Rouhani.

Il vertice è stato indetto per “rivedere ogni aspetto delle relazioni bilaterali fra Turchia e Iran e per discutere i passaggi miranti a migliorare ulteriormente la cooperazione alla luce delle nuove circostanze prodotte dalla pandemia di coronavirus”, ma saranno argomento di discussione anche la sicurezza regionale e la cooperazione nell’arena internazionale.

Secondo i media turchi che stanno coprendo la notizia potrebbe trovare spazio l’agenda del potenziamento della collaborazione economica, si vorrebbe aumentare l’interscambio commerciale dagli attuali 9 miliardi e 500 milioni di dollari a 30 miliardi, ma è possibile che si discuterà di altro, di temi molto più sensibili, e a tal proposito occorre tenere in considerazione i messaggi lanciati da Iran e Russia il 7 settembre, ovvero il giorno in cui il governo turco ha dato comunicazione del vertice.

Nel primo caso Khaled al-Qassoumi, il rappresentante di Hamas a Teheran, ha dichiarato al Teheran Times che Iran, Turchia e Qatar dovrebbero formare un’alleanza per controbilanciare l’asse arabo-israeliano in maniera tale da incidere con forza in Medio Oriente e fare in modo che la questione palestinese non venga dimenticata.

Nel secondo caso Sergei Lavrov, il ministro degli esteri russo, durante una conferenza stampa avente come oggetto i risultati della sua visita a Damasco, ha dichiarato che “noi [russi] siamo uniti alla Turchia e all’Iran dalla comune aspirazione che non si ripeta in nessun caso [in Siria] quel che è stato fatto alla Libia e all’Iraq”.

Verso un matrimonio di convenienza?

I due paesi, dopo aver raggiunto un’intesa sulla coesistenza pacifica in Siria, avvenuta su coordinamento e intermediazione russa nel quadro degli accordi di Astana, sembrano aver messo da parte le rivalità anche in altri teatri geopolitici, iniziando a collaborare in Libia e in Iraq, e negli ultimi mesi si è assistito ad un avvicinamento guidato da un movente comune: porre un freno all’agenda dell’asse arabo-israeliano per il Medio Oriente.

Il vertice avviene sullo sfondo di una serie di eventi estremamente importanti, avvenuti in un arco di tempo relativamente breve, che sono indicativi della costruzione di fronti che si sta verificando nel mondo musulmano: il 17 giugno ha avuto luogo il primo attacco coordinato turco-iraniano in Iraq contro postazioni del Pkk, il 13 agosto è stato firmato l’accordo di Abramo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti ed è stato rivelato che la Turchia ha iniziato a concedere la cittadinanza ad alcuni esponenti di Hamas residenti nel Paese, il 22 dello stesso mese a Istanbul si è tenuto un incontro tra la diplomazia turca e rappresentanti di Hamas, infine a inizio settembre è stato svelato che i servizi segreti di Tel Aviv e Abu Dhabi starebbero pianificando la realizzazione di una base segreta in Yemen per disturbare le operazioni turco-iraniane nell’area.

Sembrano lontani i tempi in cui i due paesi guerreggiavano in Siria e sebbene la diplomazia russa abbia giocato un ruolo fondamentale nel condurli sulla strada del dialogo, le premesse per una normalizzazione esistevano già, con o senza il coinvolgimento il Cremlino. Infatti, la logica del “il nemico del mio nemico è mio amico” applicata alle relazioni internazionali ha sempre dato luogo a partenariati inattesi e ad alleanze inverosimili; ed è questo il caso.

Pur essendo ideologicamente agli antipodi, perché sia la Turchia erdoganiana che l’Iran khomeinista hanno ambizioni egemoniche sulla comunità musulmana mondiale, i due paesi condividono una serie di interessi in dei teatri comuni e, soprattutto, rivaleggiano con le stesse potenze, ovvero Israele ed il blocco petromonarchico sunnita ruotante attorno al duo Egitto-Arabia Saudita. Neanche l’appartenenza all’Alleanza Atlantica, l’espressione militare dell’Occidente, si è rivelata un ostacolo per Ankara che, anzi, con i propri alleati guerreggia: dal caso della Saipem 12000 alla più recente crisi con la Grecia, manifestatasi sotto forma di una micro-invasione il 21 maggio scorso e nelle molteplici prove di forza nell’Egeo e nel Mediterraneo orientale avvenute in estate.

L’avvicinamento tra i due paesi, quindi, pur non essendo del tutto scontato, non è mai stato implausibile; le premesse per un dialogo c’erano da tempo, ciò che mancava era qualcuno che facesse loro comprendere le opportunità derivanti dalla cooperazione. Quel qualcuno, ovvero la Russia, è infine arrivato ed Erdogan e Rohani hanno dimostrato saggezza nel lungo periodo.