Nessuno sa dove fosse Xi Jinping nei giorni in cui il nuovo coronavirus si stava espandendo a macchia d’olio in tutta la Cina. Il presidente cinese, solitamente sempre sovraesposto nei media statali, era scomparso dai radar dopo aver lanciato qualche dichiarazione ripresa dall’agenzia Xinhua.
Lo scorso 20 gennaio, il signor Xi aveva chiesto “sforzi assoluti” contro la diffusione del 2019-n-Cov e messo al primo posto la sicurezza e la salute della popolazione. In quel periodo non era chiara l’entità di quella che si sarebbe rivelata una grave bomba sanitaria. Il governo cinese non aveva ancora preso la drastica misura di mettere in quarantena né la “città infetta” di Wuhan, tanto meno l’intera provincia dello Hubei, per un totale di quasi 60 milioni di persone isolate dal resto del Paese.
La decisione radicale del governo è arrivata soltanto il 23 gennaio. Cinque giorni dopo, in uno scenario apocalittico, il signor Xi ha accolto a Pechino il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus. Durante il vertice, il presidente cinese dichiarò che la Cina aveva le “capacità di debellare il coronavirus” e arrivò addirittura a paragonare l’epidemia a un diavolo: “Non possiamo lasciare che si nasconda”.
Xi e l’epidemia di coronavirus
Passano i giorni e Xi Jinping sparisce nuovamente nel nulla. Arrivano un paio di suoi interventi a sottolineare come “la situazione nel contrasto all’epidemia di polmonite da coronavirus è ancora cupa e complicata” e che per questo è necessario “combattere duramente”.
Xi ha chiesto agli ospedali militari di fare del loro meglio per accogliere tutti i pazienti e ha sollecitato l’intensificazione della ricerca scientifica. Successivamente, durante la riunione della commissione permanente del Politburo, il presidente ha richiamato la nazione al rispetto delle leggi in materia sanitaria: “Chi verrà meno alle proprie responsabilità verrà punito”.
Per rivedere il presidentissimo in pubblico dopo l’esplosione dell’epidemia, bisogna attendere l’incontro del 5 febbraio con il leader cambogiano Hun Sen, in visita in Cina per qualche ora per testimoniare la sua “contrarietà alle misure restrittive radicali e non consigliabili adottate da alcuni paesi” e denunciare che “il panico è la peggiore delle epidemie”.
Nei 12 giorni precedenti, il signor Xi si era fatto vedere in pubblico una sola volta, mentre i media avevano continuato a ribadire “il suo costante impegno in prima persona” per dirigere la risposta contro il coronavirus. Eppure i servizi e gli articoli non mostravano le sue immagini: fatto assai inusuale.
Il colloquio con Trump
Dopo giorni di fuoco, di paura, inquietudine e apprensione, in cui Xi ha comunque continuato a esortare il popolo a far fronte all’emergenza nel miglior modo possibile, il presidente ha ripreso i contatti con vari governi esteri. Il leader cinese ha, per esempio, parlato con il re saudita Salman bin Abdulaziz al Saud, dicendo – riferisce Xinhua – che quella contro la diffusione del coronavirus è una “guerra di popolo “ e che gli sforzi della Cina stanno producendo “risultati positivi”.
Xi Jinping ha poi avuto un colloqui telefonico con l’omologo americano, Donald Trump. L’inquilino della Casa Bianca si è detto “fiducioso” delle capacità cinesi. I due leader – si legge in una nota “ hanno concordato di proseguire con un’ampia comunicazione e cooperazione tra le due parti” e discusso anche “ del grande risultato del recente accordo commerciale di Fase 1 tra Stati Uniti e Cina e ribadito il loro impegno per la sua attuazione”. Xi è tornato in prima linea. O forse non se n’era mai andato.