Le due principali aree di interesse geopolitico della Russia coincidono con l’Asia centrale e l’Europa orientale. Nel cuore del continente asiatico, là dove una volta l’Unione Sovietica poteva contare su una nutrita batteria di satelliti, risiede quello che può essere definito il “cortile di casa” del Cremlino. Anche se oggi quei territori sono diventati indipendenti – dal Kazakhstan al Turkmenistan, dall’Uzbekistan al Tajikistan – il legame che li unisce a Mosca è rimasto saldissimo, tanto dal punto di vista economico che politico e culturale. Come se non bastasse, e questo vale anche per l’Europa orientale, la Russia non ha alcuna intenzione di ritrovarsi focolai di tensione a due passi dai propri confini nazionali.

Ecco perché Vladimir Putin si è mosso in due direzioni: consolidare intense relazioni con Stati cuscinetto, cioè alleati capaci di garantire stabilità alla Russia, e stroncare sul nascere ogni possibile minaccia, a costo di usare la forza (verbale ma non solo). La strategia ha fin qui funzionato molto bene in Asia centrale, dove la barriera degli –stan ha sostanzialmente messo al riparo i russi da ipotetiche perturbazioni non desiderate; un po’ meno in Europa orientale, dove, accanto a partner strategici, permangono rivalità esplosive (Ucraina).

Eppure, da qualche anno a questa parte, la Russia ha messo gli occhi su una terza area di interesse: il sud-est asiatico. Stiamo parlando di una regione in cui la Russia ha un peso decisamente minore rispetto ad altri attori, quali India ma soprattutto Cina. Ciò nonostante, il Cremlino sembra avere intenzione di ritagliarsi uno spazio di manovra in loco.

Armi, energia e vaccini

Il ventaglio russo per fare breccia nel sud-est asiatico è composto da tre strumenti: la vendita di armi, di risorse energetiche e di vaccini anti Covid. Per quale motivo Mosca necessita di allungare i tentacoli in una regione che storicamente le è distante? Tre sono i motivi principali:

  1. Conquistare spazi di manovra in un’eventuale chiave anticinese nel caso in cui il partenariato con la Cina dovesse guastarsi;
  2. Ostacolare le manovre degli Stati Uniti;
  3. Espandere i propri interessi economici in una zona potenzialmente allettante.

Giusto per fare un esempio, nel 2018 Russia e Laos hanno siglato un accordo inerente alla fornitura di armi, compresi carri armati T-72B, aerei YAK 130 e autoblindi BRDM-2M. Sul fronte energetico – altro esempio – Mosca aveva intavolato dialoghi piuttosto approfonditi con il Vietnam, sia per la costruzione di due centrali nucleari nella provincia di Ninh Thuan, che per una partnership tra Gazprom e PetroVietnam per sfruttare i giacimenti sottomarini di petrolio e gas situati nei fondali del Mar Cinese Meridionale.

Da non tralasciare neppure la diplomazia dei vaccini portata avanti dal Cremlino, una diplomazia sanitaria senza dubbio ridotta rispetto a quella cinese ma ugualmente efficace. Bangladesh, Filippine, Laos, Myanmar, Vietnam e Pakistan sono solo alcuni dei Paesi che hanno approvato per uso emergenziale (e ricevuto) dosi dello Sputnik V.

Il piano di Mosca

Basta dare un’occhiata ai recenti numeri diffusi dallo Stockholm International Peace Research Institute per capire come (e quanto) è cresciuta la presenza russa nel sud-est asiatico. Questa regione ha rappresentato il 12,2% delle destinazioni di esportazione di armi della Russia nel periodo compreso tra il 2013 e il 2017, rendendo la Russia il più grande fornitore della regione. Dieci anni fa, la cifra era del 6,2%.

Come ha sottolineato Nikkei Asian Review, alla base dell’avvicinamento tra il Cremlino e i governi locali c’è un doppio interesse comune. Mentre il sud-est asiatico ha rafforzato le sue capacità di difesa e il suo sostentamento energetico alla luce delle dispute ancora aperte con la Cina, i russi sono ben felici di aumentare le proprie esportazioni, di armi e non solo quelle.

In ogni caso, anche se Mosca ha intenzione di piantare qualche bandierina nella regione, il governo russo è ben conscio di non avere nel sud-est asiatico lo stesso peso specifico di Cina e Stati Uniti. La vera sfida di Putin, dunque, sarà quella di occupare ogni spazio libero senza alterare equilibri o far irritare Pechino. D’altro canto il Cremlino ambisce a sedersi al tavolo dei grandi, così da esser consultato per risolvere ogni affare globale.