C’è del marcio a Pechino. Le ultime ore, infatti, restituiscono un quadro singolare sia per la Cina che per la postura internazionale a cui ci ha abituato Xi Jinping, imperturbabile leader d’acciaio, pragmatico fino al midollo. Il leader cinese, infatti, salterà il vertice del G20, infliggendo un duro colpo all’India, la nazione ospitante. Al momento, nessuna spiegazione sulla defezione cinese, appena smussata dalla nota che ha precisato che “Su invito del governo della Repubblica dell’India, il premier Li Qiang parteciperà al 18 summit del G20”, ricordando che “il gruppo dei 20 è un importante foro internazionale di cooperazione economica e la Cina ha sempre attribuito grande importanza e ha partecipato alle sue attività”.
La delusione di India e Usa per l’assenza di Xi al G20
Il primo a dirsi deluso, Joe Biden, che male ha accolto la notizia dell’assenza di Xi al vertice, dopo averlo incontrato l’ultima volta a novembre, proprio in occasione del G20 di Bali. Da Pechino, la portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning, contribuisce a edulcorare i rumor montanti: “I leader cinesi, hanno sempre sostenuto i summit ospitati dall’India quest’anno e siamo pronti a lavorare con tutte le parti per il successo del G20”. “Al momento – ha sottolineato, nel corso del briefing quotidiano – i rapporti tra Cina e India restano generalmente stabili e il dialogo e la comunicazione vengono mantenuti a tutti i livelli”.
Nuova Delhi, invece, non le manda a dire. Si comporta ormai con “una mentalità da imperatore” e si aspetta che siano i leader stranieri ad andare da lui e non viceversa: con queste parole la stampa indiana ha accolto la notizia dell’assenza del leader cinese. Dalle sue colonne, il Times of India esprime il rammarico per le speranze poste a proposito di un uomo che, al suo terzo mandato, si stava ormai affermando come statista globale. Una postura che rischia di andare in frantumi per via dell’essenza non giustificata al summit. Il quotidiano indiano addebita la scelta ad almeno due ipotesi: la prima, legata all’atavica contesa sui territori di confine che insanguina i rapporti transfrontalieri dal 1962; la seconda potrebbe essere figlia delle novità che hanno riguardato i Brics nelle ultime settimane: tuttavia, Brics o non Brics, Pechino sa molto bene quanto la sua Via della Seta sia impastoiata con l’Occidente ed è difficile pensare a una uscita di scena così clamorosa e schizofrenica. Il ToI ipotizzerebbe anche una terza via, la più semplice, ma forse anche la più banale: il leader, ossessionato dal timore di complotti e torbidi vari, preferirebbe non lasciare Pechino, nonostante si tratti di pochi giorni. La prima delle ipotesi sembra essere scartata dallo stesso ministro degli Esteri Subrahmanyam Jaishankar che sostiene come qualsiasi possa essere la ragione “non ha a che fare con l’India”, aggiungendo che i temi di discussione del vertice del 9 e 10 settembre sono in discussione da tempo, e per lo più riguarderebbero il grande sud globale.
Il “vertice d’estate”: Xi nell’angolo?
L’affaire G20, tuttavia, non sembra l’unico ad agitare il gigante asiatico. Xi, infatti, avrebbe recentemente subito le reprimenda dei leader anziani del Partito comunista per le difficoltà affrontate dal Paese. L’incontro annuale, noto come “vertice d’estate”, si è tenuto in quel di Beidaihe, nella provincia dello Hebei tra la fine di luglio e la prima settimana di agosto. A rendicontare le difficoltà del meeting, il quotidiano giapponese Nikkei. Quello che spesso viene definito il “conclave” del Partito comunista cinese, è tenuto tradizionalmente a porte chiuse, ma i dettagli dell’ultimo ritiro della leadership comunista cinese hanno iniziato a circolare solo in questi giorni.
Numerosi i segnali di inquietudine: scomparso il clima che ha caratterizzato i vertici precedenti, da quando Xi assunse la carica di segretario generale del Partito in poi. La fronda in corso dovrebbe essere a firma di ex funzionari anziani, che a loro volta avrebbero scatenato la frustrazione del leader cinese per le critiche ricevute in presenza dei suoi più stretti collaboratori. Il vertice di Beidaihe avrebbe dovuto essere una pura formalità cerimoniale, una mera tradizione, anche alla luce di assenze importanti come l’ex presidente Jiang Zemin, morto lo scorso novembre, e Hu Jintao, scomparso dalla scena pubblica dopo l’incresciosa espulsione dalla Grande sala del Popolo durante il Congresso nazionale del Partito comunista, lo scorso ottobre.
Zeng e la “congiura degli anziani”
Tali illustri assenze avrebbero dovuto creare un clima ancor più favorevole a Xi, che invece si sarebbe scontrato per la prima volta con rimostranze e rimproveri. Capo della fronda interna al Politburo sarebbe l’ex vice presidente Zeng Qinghong, uno dei più stretti collaboratori di Jiang Zemin: sarebbe stato scelto come “portavoce” dei vecchi saggi anche per il suo ruolo di primo piano nel favorire l’ascesa di Xi ai vertici del Partito comunista. L’ex vicepresidente, 84 anni, resta una figura influente all’interno del Partito, forte di una fitta rete di connessioni personali.
Zeng addebita all’attuale leadership di non avere fatto abbastanza per placare le turbolenze a livello politico, economico e sociale, con il rischio di un danno permanente al ruolo di guida dello stesso Pcc sul Paese. Il leader cinese avrebbe espresso la propria rabbia ai suoi più stretti collaboratori puntando il dito contro le questioni in sospeso ereditate dai suoi predecessori (Deng Xiaoping, Jiang Zemin e Hu Jintao) e alle quali ha cercato di mettere mano da quando è salito al potere. Primi fra tutti il panorama economico, segnato dall’incancrenirsi della crisi immobiliare, da un tasso di disoccupazione giovanile alle stelle (i dati non vengono nemmeno più pubblicati) oltre a un volume degli scambi commerciali tendenzialmente deludente. Anche le manovre politiche platealmente torbide sembrano affliggere la mitopoiesi di Xi. Due esempi su tutti: la sparizione e la sostituzione, rimasta senza una spiegazione ufficiale, del ministro degli Esteri Qin Gang, con il ritorno del suo predecessore, Wang Yi, alla guida del ministero; e il rimpiazzo, pochi giorni dopo, dei vertici dell’unità missilistica dell’Esercito Popolare. La solidità con la quale il blocco degli anziani si sarebbe presentato al vertice farebbe ipotizzare, secondo la ricostruzione di Nikkei, un incontro precedente e segreto- “probabilmente alla periferia di Pechino”- per formulare una posizione comune da esporre. Una volta a Beidaihe, solo una manciata di ex funzionari sarebbe rimasta fedele alla linea comune a Xi.
Le due vicende avrebbero, dunque, una stretta connessione. Xi vorrebbe disertare tutti quei vertici internazionali ove non può negoziare da una posizione di forza: in un consesso come quello del G20, le difficoltà strutturali di Pechino verrebbero fuori, perché incalzato dai propri omologhi: le riforme e le aperture annunciate negli anni Settanta stanno fallendo e le epurazioni non contribuiscono a migliorare le credenziali internazionali di Xi. Incontrare altri 19 leader forti potrebbe far scattare l’accerchiamento: una doppia pressione che potrebbe deflagrare al suo ritorno in patria.