Se con il crollo dell’Urss la Federazione Russa aveva pressoché rinunciato alla propria influenza in Africa, a partire dagli anni 2000 il continente torna ad essere una voce importante nell’agenda estera del Cremlino. Mosca è però nettamente in ritardo rispetto a Pechino e non può contare sulle relazioni che numerose capitali europee intrattengono con le proprie ex-colonie. Conscia che la vendita di armi e gli accordi di cooperazione militare non bastano per rafforzare la propria influenza, Mosca decide di dare il via ad una “politica africana” sui generis. La politica estera della Russia in Africa non è decisa dall’alto e poi implementata secondo una precisa gerarchia, ma è esternalizzata ad alcuni “imprenditori dell’influenza”. Si tratta di oligarchi che intrattengono rapporti più o meno diretti con Putin e che agiscono in proprio, interpretando la volontà del Cremlino. Questo sistema ha un duplice vantaggio: se un operazione non dovesse andare a buon fine, Mosca potrà sempre avvalersi della cosiddetta plausibile deniability per distanziarsene, se al contrario l’operazione si rivelasse un successo questa riceverebbe una sanzione ufficiale e l’oligarca responsabile ne trarrebbe importanti benefici personali. I due nomi forti della politica estera Russa sono quelli di Evgenij Prigožin e Konstantin Malofeev. Il primo, soprannominato il cuoco di Putin, è un uomo schivo che rifugge le telecamere e si esprime poco, anzi pochissimo in pubblico. È il nome dietro la famigerata compagnia Wagner e l’Internet Research Agency (Ira), la fabbrica di troll russa accusata di ingerenza nelle elezioni americane del 2016. Il secondo, soprannominato l’oligarca ortodosso in ragione dei suoi forti legami con la chiesa moscovita, è invece tutt’altro che taciturno. Nostalgico dell’epoca degli Zar dice di aver trovato in Putin un nuovo monarca. La testata di sua proprietà, Tsargrad, è una delle più conservatrici nel panorama mediatico russo. È uno dei principali fautori dell’annessione della Crimea e ha stretti rapporti con le autorità delle autoproclamate repubbliche separatiste del Donbass. È accusato di ingerenza nelle elezioni del 2016 in Repubblica Srpska e Montenegro e gli è vietato l’ingresso in Bulgaria. Malofeev vanta anche dei rapporti con alcuni esponenti di spicco della destra europea fra cui J.M. Le Pen e T. Mariani in Francia e Matteo Salvini in Italia.
Sochi 2019: la nascita della politica africana della Russia
A Sochi, nel 2019, si mette quindi in scena il grande riavvicinamento fra Russia ed Africa. Sono presenti entrambi gli oligarchi e fra i diversi stand preparati per l’evento troneggia quello dell’Agenzia Internazionale per lo Sviluppo Sovrano (Iasd). Sebbene si tratti di un ente creato un mese prima della conferenza, ai cronisti di Le Monde non sfugge che il gazebo dell’agenzia supera per dimensioni e superficie quelli dei giganti energetici e dell’estrazione russi. Se non è chiaro quale sia la missione dell’agenzia, il suo scopo sarebbe quello di facilitare le relazioni fra stati africani e imprese “etiche” che non depredino l’Africa. L’Iasd è presieduto dallo stesso Malofeev. Questo non solo testimonia dell’interesse che l’oligarca inizia a portare per l’Africa, ma suggerisce anche qualcos’altro. Tradizionalmente il punto di forza dei russi nelle relazioni con il sud globale è la vendita di armi e di “pacchetti di sicurezza”. Lo Iasd però non si occupa di questo, ma di facilitare scambi fra paesi africani e aziende che ne rispettino la sovranità. Il messaggio che si vuole quindi far pervenire ai leader africani riuniti a Sochi è che le imprese russe, a differenza di quelle occidentali, rispettano la sovranità africana e quindi si può fare affari con loro. Nel caso il messaggio non fosse stato sufficientemente chiaro, ai leader africani presenti sarebbe bastato partecipare alla conferenza “Il complotto contro l’Africa” tenuta da Malofeev in persona. Durante la conferenza l’oligarca spiegava infatti come “l’FMI miri a rovesciare governi e causare guerre civili”. Ivi Gheddafi assurge ad esempio di chi è stato destituito perché “rifiutava il monopolio del dollaro”. Fra i presenti alla conferenza c’è anche Kemi Seba, la cui lotta contro il franco CFA trova risonanza nel comunicato finale che denuncia “i diktat politici e il ricatto monetario” esercitati sull’Africa in palese “violazione del principio di non ingerenza”. Sempre a Sochi un leader africano avrebbe potuto partecipare alla tavola rotonda organizzata da Alexandr Malkevitch sul tema dei “Valori tradizionali e della sovranità”. Malkevitch ha fatto carriera passando da vari canali TV regionali russi fino a divenire redattore in capo di USAreally, un sito d’informazione creato dall’IRA di Prigožin e rivolto al pubblico statunitense, bloccato per aver diffuso informazioni false e propaganda straniera. M. farà ancora parlare di sé nel 2019 quando due suoi impiegati verranno arrestati in Libia con l’accusa di supportare Saif Al-Islam Gheddafi, attualmente ricercato dalla Corte di Giustizia Internazionale. M. ha fondato e dirige la Fondazione per la Protezione dei Valori Nazionali, che ha per missione di “promuovere e proteggere gli interessi nazionali della Federazione Russa, preservandone la cultura e proteggendo la libertà di parola e i rappresentati dei media di tutto il mondo”. La vera star di questa tavola rotonda è però Nathalie Yamb, che accusa la Francia di “mantenere il controllo sull’Africa francofona” perorando il “ritiro delle truppe francesi e lo smantellamento delle sue basi in Africa” la cui unica utilità sarebbe quella di “depredare il continente e fomentare il terrorismo”. Durante la tavola rotonda interviene anche Marie-Noëlle Koyara, ministra della difesa centrafricana, asserendo che la crisi che ha conosciuto il suo paese deriva dalla mancanza di soluzioni endogene che tengano conto dei valori tradizionali del suo paese. Quest’ultimo intervento suscita interesse perché in Centrafrica la Russia è presente da fine dal 2017 e di fatto controlla il settore della sicurezza del paese. La tavola rotonda è organizzata dalla misteriosa Association for Free Research and International Cooperation (Afric).
Gli ideali condivisi dalla leadership Russa e Africana
Il summit di Sochi offre un eccellente spaccato della “politica africana” del Cremlino: se la vendita di armi e l’estrazione di risorse naturali rimangono il “core business” della Russia in Africa, Mosca punta ormai a vincere i cuori e le menti di popolazioni e governi del continente. I temi attorno ai quali la Russia tenta di addensare consenso in Africa non brillano per originalità, ma risvegliano attriti mai veramente sopiti. Il primo è quello del multipolarismo in opposizione all’unipolarismo americano: una comunità internazionale più giusta sarebbe una comunità multipolare, dove lo strapotere occidentale è contenuto da altri poli posti su un piede di eguaglianza. Da questo primo punto discende il tema della lotta al colonialismo occidentale che estrae le risorse naturali africane per arricchirsi mantenendo in una condizione di subordinazione i paesi che possiedono queste risorse. In questo senso sia il dollaro sia il franco CFA sono da intendersi come “monete coloniali” il cui unico scopo è mantenere in piedi regimi corrotti e asserviti all’occidente. Cavallo di battaglia tradizionale della Russia è poi quello del rispetto incondizionato della sovranità. Nessuno stato ha il diritto di interferire nelle vicende interne di un altro stato: il rispetto dei diritti dell’uomo e la sicurezza umana (human security) sono pretesti di cui si ammanta l’occidente per continuare ad esercitare la propria egemonia globale. Da ultimo c’è il tema dei valori tradizionali, che ha qui un duplice senso: da un lato c’è un elemento di critica nei confronti dei costumi occidentali, specie in fatto di genere, orientamento sessuale e ruolo della famiglia “tradizionale”; dall’altro c’è la questione della “local ownership” (coinvolgimento locale) secondo cui i problemi africani richiedono delle risposte che siano “calate” nella cultura e modo di vedere locali.