La pressione della Polonia per l’invio dei carri Leopard 2 in Ucraina è la cartina di tornasole di una delle trattative più complesse e per certi versi drammatiche dell’Europa dall’inizio della guerra. Mai come in questa fase, la Germania era apparsi così messa all’angolo dai suoi partner orientali e dagli Stati Uniti, che hanno chiuso come in una sorta di tenaglia, Berlino e il suo cancelliere Olaf Scholz.

Mentre Washington trattava in maniera meno plateale con Berlino al punto da cedere sulla cessione degli Abrms come gesto di buona volontà, Varsavia ha premuto non solo duramente ma anche pubblicamente sul governo tedesco. Al punto che il premier Mateusz Morawiecki si è palesato come il principale avversario dell’esecutivo Scholz nel panorama europeo sul fronte dei carri armati all’Ucraina.

Prima ha capeggiato una serie di Paesi “ribelli” clienti dell’industria teutonica per chiedere a gran voce a Berlino il via libera alla cessione dei Leopard 2. Poi ha accusato il governo di coalizione tedesco di perdite di tempo inaccettabili che avrebbero messo in pericolo la resistenza ucraina, sollecitando più volte la Germania a “dimostrare coraggio” e, intervistato dalla Bbc, tacciando la Germania di “responsabilità speciale” dovuta al denaro versato in questi nani a Mosca per il suo gas. A un certo punto, nel momento di scontro più elevato tra Berlino e queste due ali dell’Alleanza Atlantica, Morawiecki aveva addirittura minacciato di attivare una coalizione interna a quella degli utilizzatori dei Leopard “con cui accordarsi sulla fornitura”. In un momento di rabbia, ha poi parlato del nuovo ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, come di una scelta che provoca ansia perché si tratta di “uno stretto collaboratore di Gerhard Schroder, un simbolo di sventura, uno che continua a parlare con Putin come se niente fosse”. E mentre gli altri Paesi Baltici provavano a chiedere alla Germania un ripensamento facendo leva sulla sua importanza economica e di leadership all’interno dell’Unione europea, la Polonia ha tirato dritto al punto che oggi, nonostante l’ok per gli Abrams dagli Usa e le notizie sul semaforo verde ai Leopard tedeschi ma anche polacchi e degli altri Stati coinvolti, il governo di Varsavia ha chiesto anche il rimborso all’Ue per i carri polacchi che saranno inviati a Kiev. “Questa sarà un’ulteriore prova di buona volontà. La Ue dovrebbe indennizzarci per questi costi” ha detto Morawiecki.

Il pressing polacco si è rivelato una spina nel fianco molto importante nello scacchiere europeo. Rispetto agli altri Stati dell’Unione europea, in particolare quelli occidentali, che hanno sempre mostrato rispetto per la decisione di Berlino sul mancato invio dei tank, Varsavia ha intrapreso da subito la via dello scontro. Scelta che non deve sorprendere per la differenza di vedute tra i due Paesi, ma che forse aiuta a comprendere alcune dinamiche che si sono create all’interno dei negoziati sulla forniture dei carri all’Ucraina. E che potrebbero avere convinto alla fine la Germania a desistere.

Dal punto di vista euro-atlantico, la Polonia è stata uno strumento di pressione enorme per tutta la Nato e in particolare per gli Stati Uniti. Per Varsavia si tratta di un ruolo che cerca anche per sviluppare una propria posizione di leadership nell’area del fronte orientale dell’Alleanza. Dall’inizio della guerra in Ucraina, con l’Ungheria su posizioni più vicine alla Russia, la Polonia è fondamentalmente l’unico Paese di un certo peso economico e politico che può unire tutti i Paesi dell’Est, il (fu) gruppo Visegrad e rappresentare una buona piattaforma per Washington come alleato nell’Ue. La sua visione strategica profondamente antirussa, si unisce perfettamente alla necessità atlantica di avere partner convinti della sfida rappresentata da Mosca. E in questo momento la Polonia è uno degli alleati più fidati e fedeli del sistema occidentale.

La Germania, consapevole dell’enorme rischio di vedersi scivolare via il pallino del gioco nella parte orientale dell’Europa, si è trovata quindi incastrata all’interno di una manovra a tenaglia baltico-americana. La Polonia, minacciando la nascita di una coalizione che bypassasse l’ok tedesco sui Leopard, si stava ponendo ormai al di fuori di qualsiasi tipo di orbita di Berlino (in questo con il placet degli Stati Uniti). Ma stava soprattutto facendo vedere agli altri partner che il governo tedesco, in questa precisa fase del conflitto, non solo era da considerarsi inaffidabile, ma anche lento e sostanzialmente privo di leadership.

Un danno a cui la Germania ha provato a rimediare trattando quantomeno con gli Stati Uniti per l’invio da parte di questi ultimi degli Abrams. Un modo per salvare la faccia facendo intendere che Scholz avrebbe accettato l’invio dei suoi Leopard solo con una mossa identica da parte di Joe Biden. La questione tuttavia appare ancora più complessa, dal momento che Varsavia, ponendosi alla testa del fronte più intransigente con la Russia e più duro con la Germania, ha fatto intendere di poter scindersi completamente dai legami con il vicino europeo. E l’ipotesi della coalizione sui Leopard senza l’approvazione dell’esecutivo Scholz è un segnale che non può essere sottovalutato.

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