Di George Friedman, Fondatore e Presidente di Geopolitical Futures

In questo momento storico sono due le nazioni al centro delle dinamiche dell’Indo-Pacifico, con molti altri Paesi in orbita intorno ad esse: Cina e Stati Uniti. La Cina è il primo esportatore al mondo, gli Stati Uniti sono il primo importatore. Questo è il motivo alla base delle tensioni nella regione. 

Dal 1980 circa, la Cina ha fatto affidamento su un numero sempre maggiore di esportazioni low-cost ad alto profitto, creando il capitale necessario allo sviluppo della propria economia. Durante le fasi iniziali di questo processo, i prodotti cinesi erano ben voluti dagli importatori, ma quando il flusso di esportazioni della Cina aumentò, aumentarono anche le competizioni con altri Paesi, causando problemi a livello economico e sociale. In quanto Paese importatore di punta, gli Stati Uniti percepirono questa pressione, e per oltre un decennio richiesero che la Cina permettesse importazioni maggiori da parte loro e smettesse di manipolare la sua moneta per favorire i prodotti cinesi. 

La Cina era ancora nella fase di creazione del proprio capitale e, allo stesso tempo, in una fase di transizione ad un livello di produzione più avanzato. Gli Stati Uniti risposero dunque con le solite misure: imponendo dazi sui prodotti cinesi. La Cina non poteva accontentare gli USA, ma doveva fare in modo di scongiurare ulteriori dazi; ma la necessità di avere capitali per stabilizzare un’economia surriscaldata rese impossibile accontentarli. 

La Cina spostò dunque le tensioni dal piano di un conflitto economico a quello di una vera e propria minaccia militare. Gli Stati Uniti erano al tempo la forza dominante nel Pacifico, mentre la Cina da potenza esportatrice dipende ora come allora dalle spedizioni dai porti lungo le sue coste orientali. I suoi prodotti devono riuscire a passare indisturbati dal Mar Cinese Meridionale, e successivamente da quei punti di passaggio obbligato tra gli Stati insulari che circondano il Mar del Giappone. Se la Marina statunitense decidesse di tagliare fuori quei porti con mine, sottomarini o missili – o di chiudere quei punti di passaggio abbastanza stretti che portano al Pacifico, o ancora di bloccare lo Stretto di Malacca attraverso il quale Pechino riceve la maggior parte delle sue importazioni di energia – la Cina non sarebbe in grado di esportare a sufficienza per sostenere la propria economia, e affronterebbe di conseguenza una crisi esistenziale. 

Gli USA erano sempre più allarmati dalle crescenti esportazioni cinesi, e la Cina si preoccupava sempre più che l’allarmarsi degli Stati Uniti si tramutasse in azione militare. Impossibilitati a cedere sul versante economico, i cinesi cercarono di lasciare intatta la propria sfera di interesse provando a persuadere gli Stati Uniti di disporre della capacità militare per indebolire il loro predominio navale. 

Parte del problema della Cina è che molte delle nazioni che la circondano, e che si estendono dalle Isole Aleutine fino all’Oceano Indiano, o sono formalmente alleate con gli Stati Uniti, oppure hanno comunque un rapporto informale con questi ultimi. Tra quelli che collaborano con gli USA contro la Cina si annoverano Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Filippine, Indonesia, Vietnam, Singapore, Australia ed India. La formazione del Quadrante – Stati Uniti, India, Australia e Giappone – ha dato vita ad una potente forza in grado di fermare la Cina. Quest’ultima, d’altro canto, è in buoni rapporti con la Cambogia ed il Laos, ed intrattiene formalmente relazioni con il Pakistan.

Il futuro della regione indo-pacifica dipende in gran parte dai Paesi all’interno di questa cornice. La Cina resterà una componente molto significativa di tale futuro, ma non potrà dominarlo. I limiti della crescita dell’economia cinese sono stati raggiunti, e tali rimarranno per lungo tempo; il suo potere militare è limitato dalla sua geografia. La leadership di questa regione sfuggirà dalle mani della Cina, che sarà sempre presente ma dovrà condividere la propria supremazia. 

Un solo Paese, tra tutti questi, è di per sé davvero potente: il Giappone. Il Giappone è la terza economia mondiale, con un PIL pro capite molto più elevato rispetto a quello cinese; dispone di una forza lavoro uniforme e altamente disciplinata, di una base tecnologica avanzata, ed è inoltre in buoni rapporti con gli Stati Uniti. 

Se la Cina perdesse il proprio dinamismo, ne rimarrebbe soltanto un Paese etnicamente e socialmente diviso, e con un vasto hinterland impoverito. Il Giappone non ha di queste debolezze, e allo stadio attuale non è nemmeno militarizzato tanto quanto potrebbe esserlo, poichè grazie alle garanzie di sicurezza degli Stati Uniti non ne ha mai avuto bisogno. Tuttavia, nel momento in cui gli USA limitassero la loro esposizione e la Cina rimanesse piegata su sé stessa ed in parte ridimensionata, sarebbe il Giappone ad emergere come potenza dominante, non all’interno del continente asiatico ma nelle cruciali acque ad est della Cina. Ciò metterebbe a disagio diversi Paesi, tra cui Corea del Sud e Filippine, data la loro memoria storica di azioni giapponesi. Eppure rimane di fatto che, nell’eventualità di uno scivolone della Cina, il Giappone diventerebbe l’economia di punta, oltre che la potenza militare più importante se decidesse di farsi carico di tale ruolo, cosa che prima o poi dovrà fare. 

L’India dovrebbe essere il partner economico e politico del Giappone nell’Oceano Indiano, ma presenta problematiche di un certo spessore. Tra le più critiche vi sono le tensioni fra i vari gruppi nazionali da cui è costituita. Disaccordi e rivalità hanno limitato la capacità dell’India di emulare con successo la crescita economica cinese, come molti invece si aspettavano, e anche la sua crescita come potenza militare. Il Giappone stringerà di certo un sodalizio con l’India, ma non si tratterà di una collaborazione tra pari. 

La svolta decisiva sarà presumibilmente il balzo economico di una regione in cui il Giappone si presenterà come forza dominante. La Cina ha risucchiato capitale, mentre il Giappone ha un surplus di capitale, insieme all’abilità di generare capitali esteri; costruire la struttura economica della regione sarà dunque nell’interesse giapponese. Anche Stati come le Filippine e l’Indonesia si profilano come promettenti attori nello scenario regionale, e nessuno di essi ha ancora raggiunto il massimo del proprio potenziale. 

È normale che gli equilibri di potere tra Paesi cambino: gli Stati Uniti volteranno lo sguardo altrove, la Cina affronterà difficoltà economiche, ed il Giappone tenterà nuovamente di fare la storia.