Mentre lo scontro fra Washington e Pechino si infittisce con il passare dei giorni, il Cremlino sta pensando in che modo posizionarsi fra i due blocchi, nella consapevolezza che presto potrebbe arrivare il momento di fare una scelta di campo definitiva. Alcuni eventi sembrano indicare che potrebbe farsi largo l’ipotesi di mantenere la linea dell’equidistanza, ottenendo il massimo risultato con il minimo sforzo.
Allineamento o non-allineamento?
La Russia è a un bivio, ma non troppo. Il partenariato strategico russo-cinese è sempre più profondo e la pandemia sta contribuendo in maniera significativa ad avvicinare ulteriormente le due potenze, che da paesi come Moldavia, Serbia e Venezuela vengono ormai ritenute come una sola entità, un insieme amalgamato che sta lottando per la fine dell’unipolarismo occidentale e la transizione al multipolarismo.
In realtà, le ambizioni e le agende di Mosca e Pechino coincidono fino ad un certo punto e se è vero che entrambe sono interessate all’abbattimento della pax americana e che, coerentemente, stanno unendo gli sforzi in diversi fronti, è altrettanto innegabile che il loro rapporto è meno solido di quel che traspare e di come viene spesso propagandato; e questa è una delle due ragioni principali per cui il Cremlino potrebbe decidere di non formalizzare la propria adesione al blocco a guida cinese.
Il secondo motivo ha a che fare con la tradizione storica della Russia, erede di una civiltà millenaria che nei secoli non ha mai accettato di prendere parte a schemi di alleanze nei quali fosse previsto un ruolo di subalternità. La fine dell’era sovietica ha rappresentato per Mosca un ridimensionamento a 360 gradi: fisico, militare, diplomatico, demografico, economico.
Se un’alleanza sino-russa in stile guerra fredda venisse mai siglata, questa volta il partner minore non sarebbe Pechino e le implicazioni sarebbero considerevoli. Di questo scenario, al Cremlino, esiste piena consapevolezza e questo potrebbe spingere i decisori politici ad optare per una terza via, un’alternativa al bivio Occidente-Cina.
La soluzione al dilemma: l’India
La diffidenza nei confronti della Cina è controbilanciata dalla necessità di fronteggiare, e possibilmente arrestare, l’accerchiamento subito dalla comunità euroamericana e dai suoi alleati, come la Turchia, in Europa orientale, Caucaso meridionale, Asia centrale e nell’Artico. Ed è in questo contesto che si inquadra l’entrata in scena di un terzo giocatore, l’India, uno dei più importanti partner regionali della Russia sin dall’indipendenza dall’impero britannico.
A suggerire l’idea di un non-allineamento strategico contemplante una collaborazione indo-russa è Fyodor Lukyanov, il direttore delle ricerche del Valdai club, uno dei think tank più influenti al servizio del Cremlino. Secondo Lukyanov, il cui punto di vista è stato rilanciato dall’agenzia di stampa russa, la Tass, la Russia dovrebbe evitare di farsi trascinare nello scontro fra Stati Uniti e Cina.
“Una delle missioni della politica estera della Russia nel prossimo futuro sarà di costruire con dovizia un sistema di contrappesi che da una parte ci eviterà di essere coinvolti in questo confronto e, dall’altra, ci renderà in grado di utilizzare il fatto che ci sono alcuni paesi che non hanno assolutamente intenzione di parteciparvi. […] C’è una missione comune: posizionare noi stessi nel nuovo mondo, in una nuova maniera. Credo che India e Russia possano giocare il ruolo dei condottieri”.
La creazione di un asse indo-russo non avrebbe alcuna ambizione antagonistica nei confronti di Occidente e Cina ma, più semplicemente, servirebbe a far entrare definitivamente Nuova Delhi nella partita per la transizione al multipolarismo al fianco di Mosca. L’occasione ideale sarebbe fornita proprio dalla guerra fredda fra Washington e Pechino, dato che ciascuna parte potrebbe interpretare la nascita di un nuovo blocco come un evento potenzialmente sfruttabile a proprio vantaggio, portando avanti diplomazie del corteggiamento che, in realtà, farebbero il gioco del Cremlino.
La domanda sorge spontanea: “perché l’India?” Innanzitutto è un partner con il quale la Russia intrattiene un rapporto privilegiato e di lunga data e che già in passato, ossia durante la guerra fredda, è stato sfruttato sia in chiave anti-cinese che antiamericana. Inoltre, occorre considerare che, mentre Pechino è l’aspirante egemone di oggi, Nuova Delhi sarà con molta probabilità quello di domani; da qui il crescente interesse russo verso le dinamiche interne ed esterne del paese, palesatosi nelle attività di mediazione con Pakistan e Cina, nel contributo allo sviluppo del programma spaziale, e nella maggiore cooperazione in settori-chiave come l’antiterrorismo, difesa e l’energia.
La proposta russa è allettante: approfittare del braccio di ferro sino-americano per accelerare i lavori di costruzione di un’Eurasia unita e multipolare e, quindi, non sino-centrica. Vi sono, però, degli ostacoli e non di poco conto, che rendono la proposta del Valdai club difficilmente realizzabile: l’India sta già sfruttando i benefici derivanti dalla propria rendita di posizione ed è attualmente corteggiata in egual modo da Russia e Stati Uniti e in minor parte dalla Cina. Aderire ai sogni eurasiatici del Cremlino significherebbe fare una scelta di campo e sancire la rottura con la Casa Bianca, un evento che agirebbe in senso contrario all’agenda politica di Narendra Modi, che di un’ottima relazione con Washington ha bisogno per tutelare i propri interessi nell’Indo-Pacifico dal protagonismo cinese.