Taiwan si trova, suo malgrado, al centro di una delle dispute più calde e tese del pianeta. Sappiamo che la Cina considera l’isola una sorta di “provincia ribelle”, una parte “inalienabile” del suo territorio che, presto o tardi, sarà riunificata con la madrepatria. Le autorità taiwanesi, sostenute dagli Stati Uniti, cercano come possono di smarcarsi dall’abbraccio cinese; un abbraccio che sta tuttavia diventando sempre più forte e difficile da sopportare.
Fino a questo momento Pechino si è limitata a lanciare molteplici provocazioni all’indirizzo di Taipei, con sconfinamenti di jet e arei da guerra nello spazio taiwanese, minacciosi movimenti navali lungo lo stretto di Taiwan e, soprattutto, con dichiarazioni di fuoco. Alle parole non sono mai seguiti fatti.
Anche perché il governo cinese non avrebbe alcun vantaggio nello sferrare un assalto diretto all’isola nel tentativo di conquistarla militarmente. In primis perché la Cina non ha un’adeguata esperienza per reggere uno sbarco come quello che servirebbe per prendere Taiwan; poi perché le difese militari di Taipei sono di primissimo livello, visto che provengono oltreoceano dal cuore degli Stati Uniti. Terza e ultima ragione: dal punto di vista geopolitico (ed economico), la Repubblica Popolare non ha interesse nello scatenare una guerra a due passi dai propri confini.
L’arma diplomatica
La strategia di Xi Jinping è diversa e, almeno per il momento, non comprende armi da fuoco, missili o cannoni. L’arma di Xi fa rima con diplomazia. A ben vedere, come ha evidenziato in una lunga analisi anche il quotidiano Domani, la Cina sta sostanzialmente facendo terra (diplomatica) bruciata attorno a Taiwan.
Il piano cinese potrebbe essere così riassunto: tagliare fuori Taipei dalle principali organizzazioni internazionali e, al tempo stesso, costringere anche gli ultimi Paesi che riconoscevano l’isola a cambiare idea. Questo, a lungo andare, collocherebbe Pechino in una posizione di forza senza dover sparare un solo colpo.
Prendiamo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms): nonostante Taiwan sia stato uno dei Paesi che meglio si è comportato per controllare la pandemia di Sars-CoV-2, per motivi politico-istituzionali l’isola non fa parte dell’Agenzia con sede a Ginevra. Il motivo è di natura diplomatica. Taiwan non è riconosciuto come un Paese sovrano, se non da pochi altri Paesi. Ricordiamo, infatti, che nel 1971 l’Assemblea Generale dell’Onu riconobbe i rappresentanti della Repubblica popolare cinese come gli unici rappresentanti della Cina, espellendo di fatto i diplomatici taiwanesi. Da quel momento in poi, l’Onu appoggia le considerazioni cinesi secondo cui il governo di Pechino è l’unico a poter avere legittimità sull’intera Cina, Taiwan compreso.
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Il peso di Taiwan
Va da sé che non avere spazio di manovra all’interno di organizzazioni del genere rende Taiwan priva di qualsiasi peso specifico. È interessante notare come anche durante la 75esima Assemblea mondiale della Sanità (organo direttivo della stessa agenzia delle Nazioni Unite), in corso proprio in questi giorni a Ginevra, sia stata presentata e respinta la proposta per includere Taiwan in qualità di osservatore. Una proposta, tra l’altro, presentata dai 13 Stati membri dell’Oms, teoricamente alleati diplomatici di Taipei.
Taiwan ha perso lo status di osservatore dal 2017, ovvero dall’elezione di Tsai Ing Wen, Partito democratico progressista. Da quel momento in poi, la Cina ha aumentato le pressioni nei confronti dell’isola, in particolar modo riducendo, come detto, il già ridotto spazio dimplomatico internazionale di cui gode l’isola. Un esempio? La Repubblica Popolare avrebbe firmato con l’Oms un Memorandum of Understanding che le consentirebbe di avere potere di veto sui briefing tecnici a cui Taiwan può partecipare. Il documento in questione non è pubblico e ne conosciamo l’esistenza grazie alla diffusione di una nota ad uso interno.
Ma Pechino sta spingendo in un angolo Taipei anche nelle altre agenzie Onu, come l’Icao, l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile o e la Wipo, l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale. Per quanto riguarda l’ambito politico, dal 2016 ad oggi Taiwan ha perso sette alleati che hanno smesso di riconoscerla come nazione sovrana. Tra questi troviamo Nicaragua, Kiribati e Isole Salomone, salite alla ribalta per il recente patto di sicurezza stretto con la Cina.