La Cina è il primo produttore-esportatore delle cosiddette terre rare, detenendo circa l’80% della quota di mercato globale, e gli Stati Uniti sono da decenni il principale cliente, acquistando oltre la metà dell’estrazione annuale, penalizzati dalla scarsità di giacimenti al loro interno. L’amministrazione Trump, però, ha elaborato una strategia per il lungo termine con cui risolvere questo rapporto di dipendenza ed emancipare l’industria nazionale da Pechino.
I progetti in ballo
Donald Trump considera una priorità nazionale l’erosione del monopolio cinese nella produzione ed esportazione di terre rare e ha delegato la questione al Pentagono, attraverso il Defense Production Act. Il piano è articolato in maniera semplice, ma la sua concretizzazione potrebbe risultare più complicata. L’idea è quella di aiutare i paesi alleati, come l’Australia (ed anche il Brasile), a massimizzare le loro capacità estrattive, così da diversificare realmente il ventaglio di rifornitori a detrimento di Pechino.
Contemporaneamente, gli Stati Uniti cercano anche di tornare ad essere un luogo di lavorazione delle terre rare, non essendolo più da decenni, in maniera tale da acquisire delle competenze che nel tempo sono state perdute a causa della scelta delle grandi corporazioni, come la Apple, di esternalizzare una parte significativa delle loro attività per ridurre i costi. La Cina ha beneficiato enormemente da tutto ciò, sviluppando competenze tanto nell’estrazione quanto nella processazione.
Le iniziative inaugurate dai grandi privati, su impulso del Pentagono, sono innumerevoli: l’Energy Fuels Inc, specializzata nell’uranio, sta studiando la riconversione parziale del proprio equipaggiamento per la processazione delle terre rare, la NioCorp Developments Ltd sta sviluppando una miniera di niobio in Nebraska, un elemento estraibile dalla columbite dal quale è possibile estrarre lo scandio (una delle terre rare), la Texas Mineral Resources Corp e la USA Rare Earth stanno lavorando congiuntamente alla costruzione di alcune strutture per la processazione di metalli rari in Texas e Colorado, mentre la UCore Rare Metals Inc sta sviluppando una miniera in Alaska e dotandosi del know-how necessario per processare gli elementi in autonomia.
Inoltre, c’è il caso emblematico della MP Materials, compagnia privata che possiede l’unica miniera di terre rare attualmente operativa negli Stati Uniti, sita in California. L’azienda ha una particolarità che l’ha resa invisa all’amministrazione Trump: è posseduta al 10% dalla cinese Shenghe Resources Holding Co. La Casa Bianca ha creato una barriera virtuale attorno l’azienda, limitandone il raggio d’azione nel mercato di Silicon Valley, spingendo gli assertivi proprietari di minoranza a rivedere i loro piani.
Infatti, ogni anno, l’azienda estrae e spedisce 50mila tonnellate di terre rare concentrate in Cina, dove vengono lavorate e poi rispedite negli impianti californiani. Le pressioni di Trump hanno convinto i vertici ad iniziare la costruzione di un sito per la processazione all’interno dello stato, dal quale produrre annualmente almeno 5mila tonnellate di neodimio e praseodimio, due terre rare utilizzate per produrre i magneti.
Sullo sfondo di tutti questi progetti, i laboratori di ricerca e sviluppo del dipartimento dell’energia sono in fermento per via di altri due obiettivi stabiliti dal governo federale, certamente più ambiziosi della processazione: l’elaborazione di metodi e tecnologie per il riciclo e il ri-utilizzo delle terre rare, e la produzione di beni sostituti delle stesse.
Infine, un capitolo a parte, è dedicato all’Australia. Il paese ricopre un ruolo di prim’ordine all’interno del piano, essendo fra i principali produttori-esportatori mondiali di terre rare, coltan in primis. L‘anno scorso, a settembre, i due governi avevano iniziato a vagliare l’ipotesi di una più stretta collaborazione per massimizzare le capacità estrattive di Canberra, sullo sfondo della guerra commerciale fra Trump e Xi.
All’epoca, gli Stati Uniti avevano visto del potenziale nella compagnia australiana Lynas, il principale attore non-cinese nel campo delle terre rare, ritenendo possibile lo stanziamento di fondi destinati al potenziamento delle sue strutture e allo sfruttamento del suo know-how e, in questi giorni, l’ipotesi è divenuta realtà.
Il 22 aprile, la Lynas e la Blue Line Corporation, hanno vinto un appalto ambizioso dal Pentagono, per il quale avevano fatto domanda a dicembre: costruire in Texas una struttura per la lavorazione delle terre rare “pesanti” importate dall’Australia. L’attenzione di Trump verso questo particolare tipo di terre rare è legata ad un fatto: hanno un’applicazione specificamente militare e l’industria della difesa deve raggiungere l’emancipazione il prima possibile.
L’importanza di smarcarsi da Pechino
All’indomani dell’inizio della guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina, scoppiata nel marzo 2018, l’amministrazione Trump aveva invitato il Pentagono ad effettuare un’analisi inerente i potenziali rischi di un’eventuale estensione del conflitto al settore della difesa. Le conclusioni del rapporto erano allarmanti: i sistemi d’arma statunitensi erano, e sono, sostanzialmente dipendenti dall’importazione di componenti prodotti dall’estero, come le terre rare di origine cinese.
Per non irritare eccessivamente Pechino, l’amministrazione Trump aveva optato sin dai primi momenti per l’esclusione delle terre rare dai pacchetti di sanzioni ma l’aggravarsi della tensione diplomatica, nel frattempo estesasi ad una lotta senza quartiere a Huawei e al 5G cinese, aveva spinto Pechino ad agire, riducendo sensibilmente le esportazioni dei suscritti verso Washington nel corso del 2019.
Il taglio arbitrario delle esportazioni di terre rare ha un precedente. Fra il 2009 ed il 2012 la Cina orchestrò una gigantesca campagna speculativa a base di riduzione delle esportazioni ed aumento dei dazi di uscita, triennio durante il quale il paese forgiò definitivamente il proprio stato egemonico nel settore e che colpì duramente i campioni dell’alta tecnologia europei, statunitensi e giapponesi. La disputa fu infine risolta dai paesi importatori, che portarono il governo cinese in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio, ottenendo l’abbassamento dei dazi.
Alla luce di questi eventi, è ancora più chiaro e comprensibile il motivo per cui l’amministrazione Trump stia cogliendo l’occasione storica del disaccoppiamento per emanciparsi dall’importazione di questi beni estremamente strategici e spesso oggetto di speculazione, puntando alla massimizzazione dell’estrazione e della processazione domestica e al potenziamento degli impianti estrattivi presenti nei paesi alleati.
Le terre rare: cosa sono?
Terra rara, o metallo raro, è il nome con cui si definiscono 17 elementi chimici presenti nella tavola periodica la cui applicazione è fondamentale per il funzionamento dell’industria contemporanea.
Questi metalli sono vitali per la produzione di superconduttori, turbine magneti, batterie, radar, laser, fibre ottiche e componenti di leghe metalliche, e perciò rappresentano la base dell’alta tecnologia e dell’elettronica, sia civili che militari, e stanno rivestendo un’importanza sempre maggiore anche nella rivoluzione verde. Le terre rare, infatti, trovano impiego nella produzione di auto elettriche e di pannelli fotovoltaici.