Keir Starmer è il nuovo leader dei Laburisti inglesi con oltre il 56% delle preferenze, battendo le due rivali Rebecca Long-Bailey e Lisa Nandy. Classe 1962, già capo della Procura della Corona, deputato dal 2015, Starmer, da sempre dichiaratosi socialista, prende il posto di Jeremy Corbyn dopo la débâcle elettorale di dicembre. A lui il compito di guidare l’opposizione al governo tory di Boris Johnson ma anche quello di recuperare il rapporto con i sostenitori tradizionali del partito.
Gli errori di Corbyn
E’ su quest’uomo che il partito punta per recuperare l’emorragia di elettori che ha affetto il Labour in questi ultimi tempi, perché, come sostiene Tony Travers, uno dei massimi interpreti della politica britannica (nonché direttore del centro di ricerca LSE London) “se il successore di Corbyn non dovesse riuscire a cancellare gli errori degli ultimi cinque anni, il partito rischia di non vincere più un’elezione generale”.
Starmer sembra essere molto diverso dal suo predecessore, nonostante non sia ancora stato visto all’opera e non si sia espresso su numerosi temi cruciali: di certo appare un leader più convenzionale, “centrista” pur nonostante la definizione di socialista, insomma più da establishment rispetto al radicale Corbyn. Quest’ultimo, infatti, ha compiuto il grande errore di muovere il partito verso una forte caratterizzazione ideologica e in senso decisamente left wing oriented, direbbero i britannici. Così mentre Corbyn galvanizzava gli esponenti delle sinistra più radicale, soprattutto fra i giovani, si è allontanato decisamente da ciò che la media dell’elettorato britannico ha sempre scelto: un elettorato piuttosto moderato che non si è mai fatto attirare dalla far right né tanto meno dalle sinistre radicali sul modello dell’Europa continentale. Così, con un agenda poco tradizionale, decisamente poco centrista e con un leader fortemente ideologico, il Labour ha visto frantumarsi il suo elettorato, perdendo anche nelle roccaforti del nord.
Le sfide di Starmer
La priorità immediata di Starmer sarà quella di rispondere alla richiesta di Boris Johnson affinché tutti i leader del partito lavorino insieme per affrontare la crisi del coronavirus. Il neoleader, che ha commentato la sua vittoria come “arrivata in un momento come nessun altro nella vita”, ha anche affermato di essere consapevole della portata del compito che lo attende, con i conservatori che godono di un supporto quasi record. La prima sfida sarà quella di attingere a tutte le ali del partito, lottando contro il fazionalismo che aveva interrotto la comunicazione interna ai Laburisti, presumibilmente una delle cause che ha portato a perdere quattro elezioni. L’emergenza coronavirus impone di spostare tutte le risorse mentali e politiche sulla pandemia; su questo punto però Starmer avverte: “non si tratterà di una collaborazione con l’opposizione, bensì con il governo”, in risposta alla richiesta di collaborazione e di un briefing ristretto da parte di Boris Johnson.
Tuttavia, come dimenticare la Brexit? Pur nel pieno dell’emergenza sanitaria, i cittadini che hanno scelto l’uscita dall’Unione Europea vogliono delle risposte e proprio questo tema potrebbe essere un’arma a doppio taglio per il leader laburista: mettere in stand by i colloqui potrebbe essere considerata una prassi irrispettosa del risultato referendario, nonché un asso nella manica dei Tory, la cui popolarità è ai massimi storici. Premere per una ripresa dei negoziati, rifiutando un rinvio, rischia invece di far perdere al partito il sostegno dei militanti euroconvinti e di una buona fetta del mondo dell’imprenditoria.
Due argomenti spigolosi
Ma ci sono altri due elementi che Starmer non può mettere in soffitta: come sottolinea il Guardian, il sospetto di un antisemitismo strisciante nel partito e il dilemma dei finanziatori dello stesso, saranno due nodi gordiani. Il problema dell’antisemitismo nei Labour è stata una bomba esplosa fra le mani dello stesso Corbyn. Un dossier redatto dal Jewish Labour Movement, pubblicato nello scorso dicembre, accusava l’ex leader del partito di specifici atti ed episodi di antisemitismo: Corbyn era accusato non solo di alcuni atteggiamenti ed affermazioni personali che andavano ben al di là della sua idiosincrasia per il governo israeliano, ma anche di aver insabbiato episodi di cui si erano macchiati membri del partito. Di certo, aver preso parte nel 2012 a Tunisi ad una cerimonia in memoria di uno dei terroristi di Settembre Nero non ha giovato né alla sua reputazione tantomeno alla sua leadership.
L’altro punto è quello del finanziamento. Durante la segreteria di Corbyn il partito si era affidato ai finanziamenti provenienti dal sindacato Unite di Len McCluskey, grande sostenitore del leader laburista che ha sempre visto in Corbyn il liberatore dall’austerity, incitandolo a restare alla guida del partito anche in caso di sconfitta. Adesso, tramontata l’era Corbyn c’è da affrontare però l’eredità corbinista: cosa accadrebbe ai finanziamenti da parte di Unite, infatti, se Starmer mettesse nell’ombra gli orfani dell’ex leader? Senza dubbio la vittoria è stata accolta positivamente dai business group britannici: il direttore generale della Confederation of British Industries (CBI), Dame Carolyn Fairbairn, ad esempio, ha commentato la vittoria del leader laburista affermando che “non vediamo l’ora di lavorare con Keir per ripristinare le relazioni tra lavoro e impresa per aiutare a sostenere il nostro paese attraverso questa crisi attuale e oltre”, ha il nostro pieno supporto per aiutare a sviluppare politiche che creano e condividono la prosperità in tutto il Regno Unito”. Un endorsement, questo, molto interessante.
Il vero test per il Laburisti: il post-pandemia
Starmer eredita un partito che non vince un’elezione da 15 anni. La sua più grande sfida, dunque, sarà quella di riportare il partito nelle stanze del potere e questa nuova sfida cruciale, presumibilmente, si verificherà quando la Gran Bretagna e il mondo intero, dovranno affrontare gli effetti postumi della pandemia. Milioni di persone, le stesse che soffrono l’austerità, saranno presumibilmente alla disperata ricerca del tipo di politica trasformativa che Starmer incarna come leader laburista.
Ma anche riprendere in mano il partito non sarà semplice. I Laburisti sono in stato di guerra civile ininterrotta negli ultimi anni, con la vecchia guardia in una lotta costante per impedire all’ala corbinista di prendere il controllo delle infrastrutture del partito. Starmer promette di pacificare i Laburisti, ma dovrebbe anche imprimere la sua autorità sul partito rimuovendo le persone più strettamente associate all’ex leader: il test più prossimo sarà la nomina del nuovo segretario generale, in sostituzione dell’incumbent Jennie Formby.