L’Unione europea è in fermento dal 15 giugno, giorno in cui il Parlamento magiaro, trainato dall’insolito duo FideszJobbik, ha approvato una controversa  legislazione antipropagandistica che, de jure et de facto, ha messo omosessualità e pedofilia sullo stesso piano e introdotto una sequela di strumenti utili ad estromettere dallo spazio pubblico e dalla scena educativa tutti quegli attori coinvolti nella promozione dell’ideologia di genere.

La reazione oltreconfine, prevedibilmente, non è stata uniforme: mentre una metà dell’eurofamiglia ha condannato fermamente la legge, ritenuta lesiva nei confronti della comunità arcobaleno magiara e contraria ai diritti umani, l’altra metà ha apertamente approvato l’operato di Fidesz. Una divisione prevedibile, si scriveva, perché l’esistenza di “due Occidenti” è stata palesata più volte nei tempi recenti, a partire dalla gestione della crisi migratoria per arrivare al dibattito sulla convenzione di Istanbul, e questa legge altro non è che una riconferma del noto.

Il modo in cui il quartetto Berlino-Bruxelles-Parigi-Washington agirà nei confronti di Budapest, la cui propensione al ribellismo è estesa dal rifiuto di tutto ciò che attiene al liberal-progressismo al dialogo avanzato con l’asse Mosca-Pechino, sarà indicativo e premonitore di quel che potrebbe accadere prossimamente alle forze del conservatorismo, ovvero l’alleanza Visegrad e i suoi simpatizzanti.

La reazione dell’Ue

Il 22 giugno è iniziato formalmente il processo all’Ungheria da parte dell’Unione europea. Quel giorno, su iniziativa del governo belga, durante un vertice interministeriale ad hoc è stata aperta alla firma una dichiarazione di condanna verso Fidesz e la legge magiara sulla propaganda gay – sino ad oggi firmata da 17 dei 27, cioè Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna e Svezia –, che premette e promette di avere un seguito legale e, soprattutto, di spianare la strada ad un aggravamento della guerra culturale attualmente in corso tra conservatori e liberal-progressisti.

Fallito il tentativo simbolico della città di Monaco di Baviera di persuadere la Uefa ad entrare nel dibattito, perché in chiara violazione dell’apoliticità dell’ente sportivo, nei corridoi dell’Europarlamento e dell’Eurocommissione ci si sta preparando ad infliggere una pena severa all’Ungheria all’insegna del maoistico “punirne uno per educarne cento”. Il veridico obiettivo della ritorsione, invero, più che Fidesz, sarà l’intera galassia del conservatorismo, che, significativamente indebolita dall’uscita di scena di Donald Trump – sostituito da Joe Biden, un falco del liberalismo dirittoumanista –, mai è stata così fragile, assoggettabile e annichilibile.

Le possibili mosse dell’Ue

Ursula von der Leyen ha preannunciato che la legge antipropagandistica, poiché ritenuta discriminante in base all’orientamento sessuale (this bill clearly discriminates against people based on their sexual orientation) e contraria “ai valori fondamentali dell’Unione europea” (it goes against the fundamental values of the European Union), verrà combattuta tenacemente facendo leva su “tutti i poteri della Commissione” (all the powers of the Commission).

Tradotte legalmente, le parole della von der Leyen potrebbero significare restrizioni nell’accesso ai fondi comunitari – che valgono il 4,97% del pil ungherese (2020) –, apertura di una (nuova) procedura disciplinare a carico dell’esecutivo magiaro sulla base all’articolo 7 del trattato dell’Unione europea – che potrebbe condurre alla privazione temporanea di alcuni diritti, tra i quali il voto in sede di Consiglio europeo e Consiglio dell’Ue – e avvio di un processo presso la Corte di Giustizia dell’Ue – le cui sentenze hanno valore legale ed efficacia diretta e vincolante.

Non è da escludere, inoltre, che possano avere luogo un intervento a gamba tesa degli Stati Uniti nella controversia – dato che l’amministrazione Biden ha messo i diritti umani al centro della propria agenda e ha già inviato dei segnali in direzione della realtà conservatrice europea, dalle sanzioni contro gli oligarchi bulgari alla condanna della legislazione magiara in oggetto – e/o una campagna di boicottaggio economico da parte di quei grandi privati occidentali, in primis tedeschi, in combutta con i loro governi e attenti alle tematiche arcobaleno – e dei presagi, a quest’ultimo proposito, sono già presenti.

I contro del piano Ue

L’Ue ha a sua disposizione una vasta gamma di strumenti per piegare il governo magiaro, ma la storia recente prova e comprova come il piccolo-ma-ribelle Fidesz sia tutto meno che incline a vittorie mutilate e facili asservimenti. Dalla de-stranierizzazione del mondo dell’informazione alla riforma della costituzione, passando per le leggi contro le organizzazioni nongovernative (come la celebre “Stop Soros), Fidesz ha portato a compimento ogni singolo proposito che si era prefissato e lo ha fatto nonostante le pressioni provenienti dall’Ue – si pensi al fatto che il solo dossier immigrazione è costato a Budapest ben cinque procedure di infrazione –, perciò la crociata della von der Leyen sarà una strada in salita e irta di ostacoli.

Da tenere in considerazione, poi, la presenza all’interno dell’esecutivo magiaro di personaggi dotti e capaci come Judit Varga, la giovane titolare del ministero della Giustizia che, dopo aver aiutato Viktor Orban a vincere la battaglia dello scorso dicembre sulla condizionalità del Fondo di Ripresa, ha già comunicato quella che sarà la linea difensiva di Fidesz davanti ai giudici: la carta di Nizza, ovvero la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue.

Il duo Orban-Varga, invero, impugnerà se si dovesse arrivare ad un processo l’eloquente punto terzo dell’articolo 14 della suddetta Carta, relativo al diritto all’istruzione, nel quale viene affermato e sancito “il diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, […] secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”. Se trattasi di genio o follia non può ancora essere detto, ma una cosa è certa: un nuovo capitolo della lunga storia di amore-odio tra Fidesz e Unione Europea è appena stato aperto.