In un film di certo non impegnato, ma destinato a diventare iconico, come Dirty dancing, sullo sfondo dell’America dei primissimi anni Sessanta, sospesa tra la spinta lasciva dei Sixties e il perbenismo anni Cinquanta, l’aborto compare tra un ballo proibito e l’altro come dolorosa parentesi nella vita della ballerina Penny che ricorre ad un aborto clandestino, rischiando la vita. L’episodio è tutto tranne che marginale, e racconta volutamente un aspetto dell’America precedente la sentenza Roe vs Wade, quando migliaia di donne, ogni anno, morivano nelle mani di sedicenti chirurghi che praticavano aborti “a domicilio”.
Il caso dell’Oklahoma
In Oklahoma tutto questo potrebbe tornare terribilmente d’attualità. Mercoledì il governatore repubblicano Kevin Stitt ha firmato un disegno di legge che vieta gli aborti dalla fase di fecondazione e consente ai privati di citare in giudizio i fornitori di aborti che consapevolmente eseguono o inducono all’aborto una donna incinta. In base al provvedimento, gli aborti sono vietati in qualsiasi fase della gravidanza, con eccezioni per emergenze mediche o se la gravidanza è stata conseguenza di stupro, violenza sessuale o incesto e denunciati alle forze dell’ordine. Secondo il disegno di legge, l’aborto “non include l’uso, la prescrizione, la somministrazione, l’acquisto o la vendita di pillole del giorno dopo o qualsiasi altro tipo di contraccezione o contraccezione di emergenza: tuttavia, nulla vieta di pensare che anche queste possibilità potrebbero colpire le donne.
Dopo la firma del disegno di legge, Stitt ha dichiarato: “Ho promesso agli abitanti dell’Oklahoma che come governatore avrei firmato ogni atto di legislazione pro-vita che mi fosse capitato sulla scrivania e sono orgoglioso di mantenere questa promessa oggi”. Il provvedimento suona alquanto sinistro pochi giorni dopo la fuga di notizie dalle stanze segrete della Corte Suprema, che vorrebbe prossimo un ribaltone sulla storica sentenza del 1973. Ma soprattutto si inserisce in una lunga scia di provvedimenti restrittivi che, negli ultimi due anni, stanno progressivamente comprimendo il diritto delle donne americane all’interruzione di gravidanza.
L’etica puritana resiste?
L’Oklahoma è solo l’ultimo di una serie di Stati americani a maggioranza repubblicana che hanno ristretto l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Da qualche tempo era diventato la meta più vicina per le donne texane vittime dell’heartbeat law, che impedisce l’aborto dopo le sei settimane, e dunque dal primo battito cardiaco.
Ma come è possibile pensare che nel luogo più libertario e scristianizzato del Pianeta, dove è più semplice acquistare un’arma che un antibiotico, si sia potuti giungere ad un’inversione di marcia così intensa su uno di quelli che viene considerato uno dei diritti fondamentali delle donne?
Il problema è innanzitutto culturale, e la Costituzione ne fornisce una lettura adeguata. Ad esempio, la Costituzione americana tutela il diritto dei cittadini a possedere armi (al II emendamento) ma ancora l’uguaglianza uomo donna non vi trova posto: per alcuni, la specifica non sarebbe necessaria, essendo implicita nel concetto di uguaglianza costituzionalmente intesa. Questo già fa comprendere come la cultura, anche giuridica, americana sia stata forgiata da uomini, per giunta intrisi di mentalità puritana. E quella stessa mentalità oggi sopravvive, ad esempio, nelle regole ferree sul consumo di alcolici. Un sistema complesso, tirato per la giacchetta dal sistema federale e quello locale, che ne mette in evidenza i doppi standard morali: non è un caso che sia stata la Corte Suprema, nel 1973, ad emettere la prima vera sentenza dirimente sul tema.
La doppia morale americana
Sulle moral issues gli Stati Uniti si sono sempre spaccati a metà. Fin dai tempi del caso Griwold nel 1965, aborto e contraccezione sono sotto il fuoco incrociato dei gruppi conservatori che ritengono immorale che lo stato promuova la libertà sessuale e l’egoismo a spese dei valori morali, specialmente quelli evangelico-protestanti, oltre che cattolici. Si tratta di molto di più che dell’aborto tout court, bensì di due visioni del mondo e tra due settori di opinione pubblica: quello liberale, laico e modernizzante, e quello ancorato alla tradizione delle origini.
Come scriveva Eric Foner ne Storia della libertà americana “la questione dell’aborto aprì una lacerazione profonda, talvolta violenta, nella politica americana e schierò le donne religiose osservanti contro quelle più laiche, le casalinghe contro quelle che lavoravano fuori casa”. Una frattura quindi anche sociologica, economica, oltre che culturale, che percorre ormai ogni settore della vita associata di questa America che ci siamo abituati a percepire come “spaccata in due”. Così, ancora oggi, la condanna dei pro-life si estende a tutta la rivoluzione sessuale, condannando il femminismo della seconda generazione e, per paradosso, adottando il linguaggio universale della rivoluzione dei diritti, definendosi “movimento per il diritto alla vita”, affermando di rappresentare i diritti dei non nati.
Il peso politico ed economico dei gruppi pro-life
L’elenco dei gruppi pro-life negli Stati Uniti è molto lungo e comprende associazioni di medici conservatori, organizzazioni affiliate ai partiti, gruppi religiosi (come gli Anglican for Life) e a carattere nazionale (come la Texas Alliance for Life), perfino QAnonisti. La maggior parte di questi è sostenuta dalla politica conservatrice e ha spesso fatto ricorso a metodi violenti e invasivi per manifestare il proprio pensiero o costringere schiere di donne a non abortire. Spesso questi movimenti sono stati capaci di metter su fantomatiche cliniche abortive il cui solo scopo è convincere le persone a non interrompere la propria gravidanza, mentre le cliniche vere e proprie del programma Planned Parenthood sono state spesso prese di mira con attacchi più o meno violenti. Spesso le donne che si rivolgono a questi ambulatori sono costrette a farsi largo nella folla di attivisti pronti a strattonarle, e insultarle con i loro striscioni. È stato stimato, infatti, che tra il 1977 e il 2015 negli USA ci sono stati 8 omicidi, 17 tentati omicidi, 42 attentati e 186 incendi dolosi mirati a cliniche in cui venivano praticati aborti.
Man mano che si sale di livello le battaglie pro-life giungono nei media mainstream conservatori, nelle prediche settimanali dei reverendi evangelici, nella politica locale, nei Governi degli Stati a trazione repubblicana, fino alle Corti Federali. Ma è soprattutto il peso nelle campagne elettorali che i movimenti anti e pro-aborto possiedono a rendere il tema delicato. E in clima di mid term, è ovvio che l’aborto smuova soldi e voti più che opinione e informazione.
La Susan B. Anthony List (SBA), ad esempio, sostiene candidati e promuove leggi il cui fine ultimo sia rendere illegale l’aborto. Nel 2016, il loro PAC (Political Action Committee) Women Speak Out ha speso 18 milioni in attività elettorali, un numero aumentato a dismisura nel 2020, quando hanno investito 54 milioni per sostenere la rielezione di Donald Trump. Students for Life, che sostiene gli studenti antiabortisti nelle scuole superiori e all’università, nel 2019 aveva un budget di 12 milioni di dollari. A capo vi è Leonard Leo, ex consigliere legale di Donald Trump: tra i loro finanziatori, l’organizzazione cristiana Prince Foundation. Questi gruppi esercitano un’enorme influenza sul Council for National Policy, che dal 1981 mette in contatto attivisti conservatori e politici repubblicani.
La campagna del 1992 e il mid term del 2022
L’ultima volta che l’aborto aveva infiammato così tanto gli Stati Uniti era stata nel 1992, quando la Corte suprema ribadì la costituzionalità dell’aborto. La guerra fratricida tra pro-life e pro-choice si trasformò in guerra elettorale: i “Preghiamo per Bush” si scontravano in strada con i “Battiamoci per Clinton”: entrambi i candidati politicizzarono l’argomento, banalizzandolo, al fine di rastrellare voti. Tutto questo in un Paese nel quale si usano meno anticoncezionali che in ogni altra nazione avanzata, e che detiene il più alto tasso di gravidanze di minori di tutte le nazioni sviluppate.
Le elezioni del prossimo novembre, sebbene abbiano un sentiment decisamente differente da quelle generali, potrebbero giocarsi su numerose questioni, compreso l’aborto. Nell’America traviata dalle difficoltà interne e esterne, la presidenza Biden fatica a stare a galla. Ancora una volta, il dibattito rischia di essere sfruttato e banalizzato sulla pelle delle donne: ad ogni modo, da adesso in poi, il presidente che sembrava silente sull’annosa questione durante i primi mesi alla Casa Bianca, a seguito dell’affaire in Corte Suprema è stato costretto a sbilanciarsi pro-Roe. Questa sarà la linea da mantenere nei prossimi mesi, ma soprattutto nel 2024.