Prestare denaro senza alcun limite, pur sapendo che il creditore non sarà in grado di restituire quell’ingente somma. In sostanza è questa la cosiddetta “trappola del debito£ di cui è accusata di essere portatrice la Cina. Stiamo parlando di una pratica che mirerebbe, secondo l’accusa, a prendere per la gola i Paesi in via di sviluppo. Il giochetto è semplice: Pechino investe in questi territori le proprie risorse per costruire infrastrutture strategiche, come autostrade, ponti, strade, aeroporti e altro ancora. In un primo momento non chiede niente in cambio, ma successivamente, quando il debito è ormai fuori controllo e insaldabile, il Dragone fa spesa prelevando le infrastrutture pubbliche del governo insolvente. Il Pakistan è forse l’esempio migliore di Stato coinvolto in un pericoloso circolo vizioso.
Una situazione paradossale
Come fa notare Al Jaazera il governo pakistano è in una situazione paradossale: deve più denaro alla Cina di quanto non debba restituirne al Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Islamabad deve a Pechino la bellezza di 6,7 miliardi di dollari di prestiti commerciali da qui al prossimo giugno 2022, mentre nello stesso lasso di tempo ha da restituire “appena” 2,8 miliardi all’Fmi. Il Pakistan ha accettato numerosi prestiti da Pechino per far fronte a una grave crisi finanziaria, e ha pure accettato di far parte della Nuova Via della Seta.
Attraverso il Corridoio economico Cina-Pakistan (Cecp), Xi Jinping eviterebbe il collo di bottiglia dello Stretto di Malacca e avrebbe un accesso diretto nel bel mezzo dell’Oceano Indiano; dall’altra parte, Islamabad accoglierebbe a braccia aperte i lavori cinesi che modernizzerebbero il Paese dal punto di vista infrastrutturale. Abbiamo usato il condizionale perché adesso questo progetto è a rischio. Dopo i primi mesi di entusiasmo, il Cecp è in fase di stallo; il Pakistan ha alzato bandiera bianca, rendendosi conto di aver accumulato un debito troppo alto. La gestione economica del Pakistan è stata pessima. Il governo locale non è stato in grado di amministrare le proprie risorse con saggezza e, abbagliato dalle prospettive dorate della Nuova Via della Seta, ha continuato a indebitarsi fino al collo e anche oltre. Accettando i soldi cinesi, Islamabad ha pensato solo al presente e non alle conseguenze future, che adesso stanno bussando alla porta pakistana con una certa insistenza.
Il ruolo di Pechino nella costruzione dei jet pakistani
Ma il legame con la Cina è ormai imprescindibile per il Pakistan, nonostante sia tossico per Islamabad e conveniente per Pechino. Secondo quanto riportato da National Interest, il Dragone sta collaborando sempre più intensamente con il vicino in ambito militare. Da dieci anni i cinesi aiutano il Pakistan nella costruzione del jet da combattimento JF-17 Thunder, lo stesso modello utilizzato per attaccare i nemici indiani e richiesto sia dall’aeronautica nigeriana nel 2018 (l’accordo prevedeva la vendita di tre JF-17 pakistani in cambio di 184 milioni di dollari) sia dal Myanmar (già effettuate 6 consegne sulle 18 complessive). Il Pakistan ha bisogno della Cina per migliorare i propri jet, tanto che le forze armate pakistane vorrebbero procurarsi almeno 50 modelli Block III migliorati entro il 2024 e una trentina di JF-17B. Una domanda sorge spontanea: il Pakistan dove pensa di trovare i centinaia di milioni di dollari necessari per costruire questi nuovi jet? La sensazione è che il debito con la Cina sia destinato ad aumentare ulteriormente.