Sono gli ebrei ultraortodossi ad attirare l’attenzione in Israele nelle ultime giornate. Ultraortodosso è, infatti, Moshe Lion, nuovo sindaco di Gerusalemme, che al ballottaggio ha sconfitto di strettissima misura l’avversario ,Ofer Berkovicz, al termine di una campagna elettorale condotta sul solco delle differenze tra il sionismo laico e gli ebrei più conservatori sul piano religioso.
Ma gli ultraortodossi sono anche importanti nella decisione di dimettersi presa dal Ministro della Difesa del governo Netanyahu, Avigdor Lieberman, leader del partito nazionalista Yisrael Beitenou. Infatti, sebbene la motivazione ufficiale delle dimissioni sia legata alla tregua a Gaza tra Israele e Hamas, definita “inaccettabile” da Lieberman, secondo il quale l’intesa rappresenta “una resa al terrorismo”, da tempo vi erano frizioni interne all’esecutivo legate, come riporta Avvenire, al mancato accordo sulla leva militare per gli ultraortodossi.
Due eventi indipendenti che cambiano numerose carte in tavola nel panorama politico dello Stato ebraico e, sul lungo periodo, aprono sfide notevoli per il primo ministro Benjamin Netanyahu.
Chi è Moshe Lion, il sindaco ultraortodosso di Gerusalemme
La vittoria di Moshe Lion a Gerusalemme apre uno scorcio importante sulla situazione nella città santa che Israele rivendica, unita, come sua capitale.
Come scrive Formiche, “il 57enne Lion è nato a Tel Aviv da una famiglia di ebrei originari della Grecia. Alla fine degli anni Novanta è stato capo di gabinetto dell’allora premier Benyamin Netanyahu. Poi presidente delle Ferrovie israeliane dopo aver precedentemente lavorato con l’Autorità dei porti e delle ferrovie, fino a presidente dell’Autorità per lo sviluppo di Gerusalemme. Particolarmente attivo Lion lo è stato in occasione delle elezioni del 2013, quando ha contribuito alla coalizione di governo con il Likud e Yisrael Beitenu. Sempre in quell’anno aveva tentato la scalata al municipio di Gerusalemme, ma non riuscì a scalzare il sindaco in carica, Nir Barkat”.
Cinque anni dopo la sua campagna elettorale è stata avviata dal fermo no al piano del governo Netanyahu di erigere una barriera che divide Gerusalemme est dal resto del la città, fatto che ha attratto sul suo nome una convergenza tra ebrei ultraortodossi (haredim), arabo-israeliani e avversari del Likud, partito del primo ministro.
Gerusalemme vedrà dunque un’amministrazione guidata da un uomo contrario a numerose politiche governative che la riguardano direttamente. Oltre al famoso muro di Gerusalemme Est, vi è il contenzioso sulla legge fondamentale dello Stato che definisce Israele Stato esclusivo del popolo ebraico, a cui gli ultraortodossi si oppongono perché a loro parere simboleggia l’aspirazione sionista di laicizzare quest’ultimo vincolandolo a un contesto territoriale, e quello sulle restrizioni del sabato nella capitale per le attività economiche.
Lion, continua Formiche, si è dichiarato fautore della “chiusura completa del commercio nella zona ebraica di Gerusalemme Ovest, senza deroghe per locali notturni o cinema” e, inoltre, “ha promesso di costruire case per il settore ultra-ortodosso: ciò in virtù del fatto che le famiglie ultra-ortodosse in Israele hanno una media di sette bambini, quindi necessitano di più alloggi. Inoltre si è detto contrario al trasporto pubblico di sabato e ha espressamente giurato di non partecipare all’annuale Gay Pride”.
La fronda di Lieberman
Netanyahu si trova dunque contestato, sul fronte religioso, dagli ebrei ultraortodossi. Ma deve subire, sul fronte opposto, l’assalto della componente più nazionalista del suo esecutivo. L’uscita di Lieberman dal governo preannuncia a rottura della coalizione tra il suo partito e il Likud e il ritorno alle urne.
Secondo Lieberman Hamas ha sfidato Israele nella Striscia di Gaza, e Tel Aviv non ha voluto spingersi fin dove avrebbe dovuto con l’escalation militare. “Avremmo dovuto – ha dichiarato – rispondere in ben altra maniera, abbiamo dato prova di debolezza e tutto questo si rifletterà anche su gli atri fronti”. Secondo l’ex ministro della Difesa, la cui intesa con Netanyahu pareva granitica sino a pochi mesi fa, “è necessario andare al voto anticipato il più presto possibile. Dobbiamo impedire – ha detto – che il nostro Paese si trovi in una condizione prolungata di paralisi”.
“Tra gli analisti israeliani, c’è chi parla di una mossa azzardata, altri paventano un atto disperato di un leader che ha visto un vorticoso ridimensionamento della forza elettorale del partito, Ysrael Beitenu, di cui è stato l’inventore”, scrive l’Huffington Post. “Un futuro che si fa presente dirà se questa lettura sarà quella giusta. Ma una cosa è certa: ora è Lieberman a dettare l’agenda politica del premier, che resta con una maggioranza risicata, 61 seggi su 120”. Con la mossa delle dimissioni, Lieberman “costringerà Netanyahu a difendere le sue impopolari decisioni su Gaza durante la campagna elettorale, che è esattamente quello che il primo ministro sperava di evitare”, annota Anshel Pfeffer, analista politico di Haaretz. Il governo israeliano traballa, e il futuro è sempre più incerto: il fatto che Netanyahu si trova sotto attacco da più fronti testimonia quanto la polarizzazione interna al Paese stia raggiungendo livelli di guardia difficili da tenere sotto controllo. Israele potrebbe arrivare a nuove elezioni come un Paese completamente spaccato sul piano socio-politico.