Se gli occhi del mondo si concentrano sull’Europa orientale e Taiwan, la partita a sacchi tra le superpotenze non tralascia l’Africa, un continente che da diverso tempo rientra nel grande gioco tra Cina, Stati Uniti e Russia. Una partita di influenze complessa, perché oltre alle superpotenze che cercano di prendere il sopravvento e contenersi a vicenda, vi rientrano anche i vecchi imperi coloniali che hanno dominato su vaste regioni africane, e che ora non vogliono abbandonare le loro rendite di posizione.

È in questo schema di sfida tra potenze, risorse da controllare e caos da gestire, che il segretario di Stato americano, Antony Blinken, è sbarcato in Sudafrica per iniziare un mini tour nel continente africano che lo porterà poi nella Repubblica Democratica del Congo e in Ruanda. Per il capo della diplomazia Usa si tratta del secondo viaggio in Africa, a dimostrazione dell’importanza che riveste il continente nell’agenda dell’amministrazione Biden. Già a novembre del 2021, Blinken si era recato in Africa per confermare l’impegno verso Paesi che la presidenza di Donald Trump aveva di fatto relegato a un ruolo decisamente secondario.

Ma l’obiettivo principale, che si conferma soprattutto in questo secondo tour, è quello di imporre una nuova strategia americana che riesca a strappare una posizione di vantaggio rispetto all’intero continente. Questo, ovviamente, a scapito di Cina e Russia. A luglio, lo stesso dipartimento guidato da Blinken aveva definito i Paesi africani “attori geostrategici e partner critici sulle questioni più urgenti dei nostri giorni”. Come riportato da Agenzia Nova, il Segretario di Stato Usa, in conferenza stampa con l’omologa sudafricana Naledi Pandor, ha affermato di non considerare l’Africa “l’ultimo campo da gioco in una competizione tra grandi potenze” ma di cercare “una vera partnership tra Stati Uniti e Africa”. Ma è chiaro che dietro queste dichiarazioni di comodo vi sia l’inevitabile interesse di Washington ha strappare consenso in una fase in cui Pechino e Mosca appaiono molto più radicate nell’area.

Del resto è da tempo che il Pentagono e il dipartimento di Stato avvertono sulla ramificazione degli interessi russi in Africa: interessi che spesso corrono paralleli anche a quelli cinesi, seppure con altre aree e settore di competenza. Vladimir Putin ha recuperato la tradizione sovietica riportando l’Africa al centro dell’agenda strategica russa, e lo dimostrano gli accordi siglati con diversi Paesi, sia a livello energetico che militare, oltre alla presenza dei contractors della Wagner in diversi Paesi in crisi. Inoltre, la recente mancata condanna di molti Stati africani – 17 compreso il Sudafrica visitato da Blinken – rispetto all’invasione dell’Ucraina è stato un segnale niente affatto secondario per comprendere i rapporti sempre più consolidati. Infine, ulteriore testimonianza dell’interesse russo è stato il recente tour del ministro degli Esteri Sergei Lavrov, che ha fatto tappa in Egitto, Etiopia, Congo e Uganda.

Per Washington si tratta dunque di un complesso gioco per riuscire non più a prevenire, ma inseguire una Cina diventata un fondamentale partner economico e una Russia ormai pienamente in grado di ramificarsi in un continente considerato distante rispetto alla propria agenda. In questo senso, Blinken si è in qualche modo smentito da solo rispetto alle affermazioni sul non volere superare altre potenze in Africa.

Parlando all’Università di Pretoria, dove ha descritto il piano dietro il primo summit Usa-Africa di dicembre, Blinken è tornato sul punto della democrazia, considerato un pilastro dell’agenda internazionale democratica, e ha detto che “c’è una connessione evidente fra democrazia e sicurezza: più democrazia assicura maggiore stabilità, al contrario, si alimentano la corruzione e le infiltrazioni straniere come nel caso del gruppo Wagner, che sfrutta l’instabilità per saccheggiare le risorse e commette abusi nell’impunità, come abbiamo visto in Mali e Repubblica centrafricana”. La partnership Usa-Africa non può quindi fare a meno di osservare i movimenti russi. Specialmente perché è lì che si può aprire un altro fronte per colpire i nemici di Washington.

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