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Il pelo di quello che si fa chiamare “lupo cattivo” da qualche anno è tricolore: rosso, bianco e blu, come la bandiera della Federazione russa. John Mark Dougan risponde dalla Siberia mentre trasporta in auto una barca verso Mosca: “È una specie di canoa per un mio conoscente: un oligarca”. Se chiedi chi sia il tycoon, risponde: “Non è famoso né conosciuto, se non nel suo settore”. Dougan dice di amare quello che ha sotto gli occhi al momento: Vladivostock, che abbandonerà presto. L’ex poliziotto americano risponde sereno dalla Russia che gli ha concesso asilo quando è scappato dagli Stati Uniti, sfuggendo al mandato di cattura e dalle manette degli agenti dell’Fbi.

La sorte di Dougan è stata bizzarra e colma di un’insana quantità di dettagli fuori dal comune, che lui giura essere tutti veri. Dice di sé: è nato quasi 50 anni fa in Delawere, è stato educato “come un cowboy”, ma allo stesso tempo informa di essere il figlio di un pilota d’aerei che fino al 1984 ha trasportato droga in Sud America. Dopo pessimi voti a scuola, si è arruolato a 20 anni nei Marine. Dopo quattro anni molla l’esercito e si siede davanti allo schermo di un computer, diventando programmatore informatico. Poi nel 2002 si mette di nuovo una divisa e si arruola come ufficiale dello sceriffo della Contea di Palm Beach, Florida. Dopo sette anni, nel 2009, decide di denunciare alcuni dei suoi colleghi di frode, abuso di potere, violenza contro membri delle minoranze etniche arrestati con false accuse. Ne parla con il suo capo: lo sceriffo Ric Bradshaw, – che non muove un dito per cambiare le cose -, allora comincia a parlarne con le penne del Palm Beach Post.

Dougan lascia la polizia, diventa amministratore a tempo pieno del Pbsotalk, un sito in cui, in anonimo, i poliziotti della contea potevano denunciare senza conseguenze colleghi coinvolti in controversie, razzismo, corruzione, insabbiamenti, scandali. Quando Dougan comincia a raccogliere informazioni sensibili e documenti segreti dei colleghi, lo fa il 24 agosto 2015 con lo pseudonimo di “Bad Wolf”. Diventa così la cassetta di sicurezza digitale di foto e video che dimostrano l’eccessivo potere e il suo abuso da parte delle divise dei dipartimento, ma diviene anche proprietario di una miniera di segreti. Tra i poliziotti che decidono di affidargli file e informazioni c’è Joe Recarey, il detective che perseguirà più di altri tutte le violenze commesse dal miliardario, pedofilo e suicida Jeffrey Epstein.

Dougan dice di aver incontrato il detective Recarey nel 2010: “Ho preso quei file, ma non li ho mai guardati. Sapeva che non avrei dato informazioni, mi ha dato fiducia, si fidava del mio silenzio e come altri poliziotti, me li ha affidati. Sul caso Epstein tutti i giornalisti che mi hanno avvicinato per intervistarmi non hanno capito una cosa: non ero parte della squadra che investigava il miliardario, lo era Joseph Recarey, poliziotto della polizia di Palm Beach, un’agenzia che collaborava spesso con la nostra”. L’ufficio dello sceriffo Bradshaw dove era impiegato Dougan non investigava su Epstein ma si occupava talvolta della sua sorveglianza e, dice il “lupo cattivo”, se vuoi facilitare qualcuno per permettergli di violare gli arresti domiciliari, – a cui all’epoca era condannato il tycoon americano che ha abusato decine di ragazzine -, lo fai scegliendo uomini che al momento giusto si volteranno da un’altra parte.

Mentre Dougan è ancora in America, informazioni sensibili e registrazioni in cui i poliziotti in Florida ammettono di aver violato la legge e la privacy, cominciano ad apparire sul web e sulla stampa locale: le agenzie americane incolpano un presunto ed inesistente hacker russo di violazione di dati sensibili. Sempre laggiù, in Florida. Ma “non c’era un hacker russo, non c’era nemmeno un hackeraggio”. Una cosa che Dougan dimentica di ricordare al telefono, ma non dimentica di raccontare il magazine americano Daily Beast, è che il lupo cattivo usava un modulatore della voce per sembrare una donna e flirtare al telefono con lo sceriffo, che snocciolava informazioni sensibili. Si presentava come Jessica, una ragazza di New York. Per il giornale Dougan non è un prodigio del digitale, ma solo un esperto del camuffamento e della bugia.

I servizi segreti cominciano a tenerlo sotto osservazione quando lo identificano come “Bad Wolf” e quando 45 agenti dell’Fbi fanno irruzione a casa sua per sequestrare hard disk e computer inizia una fuga rocambolesca di tre settimane: prende treni e bus, perfino piccoli aerei, indossa parrucche bionde. Dal Canada ha poi raggiunto la Russia che gli ha dato asilo. Dougan giura di aver fatto tutto questo da solo e ad una domanda precisa, ripetuta tre volte, per tre volte risponde: “Hanno verificato la mia storia, hanno accordato l’asilo, non ho interazione con gli ufficiali russi, non conosco nessuno nel governo russo”.

Dougan per il suo incontro con Recarey finirà in molti titoli internazionali quando entra brevemente nel mirino della corona britannica e del MI6, servizio di intelligence di Londra. Lo ha ipotizzato il quotidiano Times: Dougan avrebbe fornito agli uomini del Cremlino dei documenti sugli abusi sessuali del principe Andrea, file che gli avrebbe fornito il detective Recarey coinvolto nell’investigazione del tycoon.

L’MI6 non è giunto ad altre conclusioni, quantomeno, non le ha rese pubbliche. Per Dougan è ovvio che che Epstein non si sia suicidato: “Credo che i servizi segreti americani fossero a conoscenza dei suoi ricatti a uomini influenti, politici, membri delle élite. Invece di fermarlo, credo abbiano cominciato ad usarlo per i loro scopi. Non c’è altro motivo per cui Epstein non sia stato arrestato prima. Non sono un pazzo cospirazionista, credo solo che il miliardario abbia compiuto crimini enormi, ma l’intelligence ne sta coprendo di più gravi”.

Sul resto Dougan è sempre stato vago: intervistato da molti giornalisti, ha detto che quei documenti – compresi quelli del detective Recarey – sono in una cassaforte digitale da due terabyte di cui ha fatto copie nascoste, che rimangono molto lontane da lui e criptate: “Per quanto ne so i file su Epstein sono nel server, mi sono stati affidati da Recarey, ma non li ho guardati, io ero solo il deposito delle storie dei colleghi”. Recarey non può negare o confermare: è morto all’improvviso a 50 anni “dopo una breve malattia”, ha reso noto il dipartimento. Se chiedi cosa c’era nei files, Dougan risponde: “Non lo so, non li ho guardati”. Se lo richiedi – “li ha ricevuti e mai guardati?” – risponde: “Corretto. Come chi lavora in banca non conosce il contenuto delle cassette di sicurezza. Ero una cassaforte non solo per lui, ma per molti poliziotti”.

Bad wolf in Russia da alias digitale è diventato un mestiere e il titolo di un libro che vende copie soprattutto nell’America, in cui Dougan non può più mettere piede. Nella terra a stelle e strisce che ha lasciato rischia una condanna che lo terrebbe, più o meno, quasi un secolo in carcere: la sua stima è di 95 anni per illegal wire-taping, intercettazione illegale di forze dell’ordine, un crimine federale. Continua a ripetere che la sua nuova casa, la Russia, è bellissima: “Di questo Paese adoro la natura, le persone, esistono davvero poche cose che non mi piacciono qui. Quanto ami la Russia lo ripete anche nei suoi video che a volte finiscono in tv. Omaggiato come “genio informatico” e combattente della verità dal canale del Cremlino, Russia Today, è protagonista di un documentario che molti hanno visto nella Federazione.

La sua versione della storia la racconta con voce rauca molte volte a chiunque chiede di ripetergliela, forse per l’amore che ancora nutre per il primo emendamento americano. Non è chiaro chi sia il cattivo della storia e non ci si ricorda mai che a volte lo sono tutti. Intanto il caso Epstein rimane avvolto da ombre e misteri, lo sceriffo Bradshaw rimane al suo posto,  mentre Mark – forse mitomane, forse prestigiatore finito nelle pagine dell’intelligence per sbaglio – ha deciso mesi fa di attraversare tutta la Russia per ammirare insoliti panorami disattesi per un poliziotto di Palm Beach. Certo è un fatto: Mosca gli ha concesso asilo e non si sa cosa in cambio lui abbia concesso a Mosca.

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