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Le elezioni dello scorso ottobre avevano decretato due vincitori ma, di fatto, nessun governo. E, a quattro mesi da quel risultato elettorale, il Kosovo ha un suo esecutivo, guidato dai due partiti che quattro mesi fa avevano ottenuto la maggioranza dei voti, ovvero il Vetevendosjie e la Lega Democratica del Kosovo (Ldk). Secondo quanto riportato da Ispi, le due formazioni avrebbero raggiunto un accordo il 2 febbraio 2020, patto poi confermato da una votazione di maggioranza che ha permesso la creazione del nuovo governo.

Il nuovo esecutivo

Il nuovo primo ministro è Albin Kurti, a capo dei Vetevendosjie, il partito nazionalista di sinistra che, nei sette esecutivi precedenti, non aveva mai governato. Secondo quanto riportato dall’istituto, fondamentali al sostegno dell’alleanza con la formazione di centro-destra Ldk sarebbero stati i voti delle minoranze (che nel Paese, anche storicamente, hanno un peso notevole). Il nuovo governo a guida Kurti si è insediato in un momento delicato per l’area: tra le questioni più urgenti, infatti Kurti ha segnalato il dialogo e i rapporti con la vicina Serbia, con cui il nuovo presidente ha dichiarato di volere mantenere un certo dialogo.

Il (primo) governo di sinistra

Il governo di Kurti è, finora, il primo governo guidato da un premier di sinistra. Lotta alla corruzione, agli sprechi nella spesa pubblica e l’impegno per migliorare il sistema sanitario e quello scolastico sono stati i temi ricorrenti affrontati dal nuovo presidente durante il suo discorso inaugurale. All’interno del nuovo esecutivo kosovaro ci sono cinque donne su 15 ministeri (ridotti di un terzo rispetto ai 21 delle precedenti sette legislature). Kurti è, inoltre, il primo premier (insieme a Isa Mustafa, che governò dal 2014 al 2017) a non aver militato tra le fila dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), che tra il 1998 e il 1999 si era battuto per l’indipendenza da Belgrado. Per gli analisti, la figura di Kurti rappresenta una sorta di rottura con la tradizione politica, visto che l’alleanza che supportava l’ex primo ministro, Ramush Haradinaj,era stata definita da molti una “coalizione di guerra”, perché tutti i leader dei partiti avevano ricoperto ruoli di rilievo nell’Uck nel periodo del conflitto.

Le dimissioni di Haradinaj

Per comprendere come si è arrivati a questo esito elettorale (e politico) è necessario ripercorrere le tappe politiche kosovare degli ultimi mesi. Il 19 luglio del 2019, Haradinaj, premier e leader di Alleanza per il futuro del Kosovo, il partito di centrodestra e di stampo europeista dello stato, si era dimesso dopo essere stato convocato da un tribunale speciale del suo Paese, con sede all’Aja, per rispondere ad alcune domande relative a un’indagine sui presunti crimini di guerra commessi circa vent’anni prima. La corte si poneva l’obiettivo di trovare i responsabili di chi si era macchiato di colpe negli anni più difficili del Paese, quelli della guerra nei Balcani (che, in tutto, durò dieci anni, dal 1991 al 2001). Haradinaj aveva deciso di presentarsi davanti ai giudici per dare la sua versione dei fatti non da primo ministro, ma soltanto come privato cittadino. E così si era dimesso, aggiungendo caos al difficile equilibrio politico del Paese.

La questione serba

Oggi, il tema più complesso affrontato negli ultimi quattro mesi, dopo l’esito elettorale, è stato il rapporto con i serbi presenti nel Paese balcanico. Alle ultime elezioni, infatti, la Lista Serba (SL), il principale partito della minoranza kosovara, aveva ottenuto circa il 95% delle preferenze nelle zone e nei comuni dove i serbi, in effetti, rappresentano la maggioranza. Ma sulla validità di quelle percentuali di voto persistono ancora diverse perplessità. Tuttavia, appreso quel risultato, il presidente Kurti aveva chiarito, fin da subito, di non voler includere nel nuovo esecutivo SL, che considera, di fatto, un’estensione della Serbia nella sua ex provincia. Osservazione che ha delle motivazioni concrete, visto il sostegno palese di cui gode la formazione politica da parte di Belgrado e dal presidente Aleksandar Vucic (che insieme al suo governo ha sempre invitato a votare per questo partito, percepito come l’unico in grado di tutelare gli interessi dei serbi nella regione).

L’inclusione della minoranza nel governo

Ma il successo elettorale (anche se contestato), compresi i dieci deputati eletti, ha fatto in modo che LS fosse inclusa nella nuova formazione di governo nonostante le resistenze. La costituzione, poi, impone di riservare alcuni ministeri alle minoranze. E la formazione serba (Ls), che partecipava anche al precedente esecutivo di centro-destra e che non ha mai appoggiato né “corteggiato” politicamente Kurti, considerato un nazionalista radicale anche per le sue visioni del Paese, nella coalizione è entrata. Anche se, al momento del voto per il nuovo esecutivo, Ls si sarebbe astenuta dal votare la formazione di governo di Kurti (che, però, gli ha assegnato due ministeri).

Gli obiettivi di Kurti (con i serbi)

Durante il suo primo discorso, fatto in turco, albanese e serbo, Kurti avrebbe annunciato la volontà di riprendere il processo di normalizzazione del rapporto con la Serbia, dopo lo stallo iniziato con dal governo Haradinaj a novembre del 2018. Alla base della nuova volontà di dialogo ci sarebbe la reciprocità, principio che il nuovo premier vorrebbe applicare sia a livello politico, sia a quello economico e commerciale, dal momento che lo stallo del dialogo risiede nell’applicazione di Pristina di dazi al 100% sulle merci che provengono dalla Serbia, chiedendo quindi che anche Belgrado riconosca la merce d’importazione kosovara.

I negoziati e i possibili incontri

Il premier avrebbe poi annunciato la formazione di una commissione incaricata di seguire i negoziati tra i due stati, lasciando quindi intendere che la responsabilità non sarà più esclusivamente del presidente della Repubblica (come era accaduto finora). Secondo quanto riportato da Ispi, che cita alcune rivelazioni di Radio Free Europe, il piano di Vetevendosje prevede che a guidare il dialogo sia il premier, con incontri bilaterali. Tra i temi trattati, anche le persone scomparse nel conflitto del 1998-1999 e le riparazioni guerra.

Il cambiamento di Kurti

Come ricostruito dall’istituto che studia i cambiamenti geopolitici nel mondo, il dialogo tra Serbia e Kosovo, in precedenza, era stato infatti condotto in modo esclusivo dai due presidenti della Repubblica, Hashim Thaci e Aleksandar Vucic, senza nessun coinvolgimento dei rispettivi parlamenti e con ruoli marginali dei governi di Pristina e di Belgrado. Il nuovo approccio di Kurti, invece, sembrerebbe portare a una maggiore inclusione dei rappresentanti locali (serbi), sottolineando, ancora una volta, la sua insofferenza soltanto verso le intromissioni politiche di Belgrado e non verso i serbi kosovari.

I serbi che non vogliono Kurti

Tuttavia, una parte di serbi kosovari, soprattutto quelli ubicati a nord del fiume Ibar, potrebbe non accettare la rappresentanza di Kurti, pretendendo invece l’applicazione degli Accordi di Bruxelles del 2013, che prevedono la formazione della Comunità delle Municipalità Serbe, un organo di autogoverno mai esistito, di fatto, anche a causa dell’intransigenza del partito nazionalista Vetevendosje (quello di Kurti) durante le varie discussioni parlamentari.

L’influenza dell’Unione europea

Quattro giorni prima della nascita del nuovo esecutivo, l’Alto rappresentante per gli affari Esteri e la politica di sicurezza dell’Unione europea, Joseph Borrell, aveva visitato la capitale e il presidente Thaci. In quella circostanza, il capo di Stato kosovaro gli aveva ribadito la delusione per la mancata liberalizzazione dei visti per i suoi cittadini, gli unici nella regione a non potersi muovere liberamente in Europa. Borrell ha garantito che i documenti saranno concessi senza dare, però, date precise, e avrebbe fatto pressione affinché a Pristina si formasse il nuovo governo (anche e soprattutto per consentire la ripresa del dialogo con la Serbia).

Lo scenario internazionale (e le influenze)

Ma oltre all’importante questione serba, il nuovo esecutivo kosovaro deve misurarsi con gli equilibri della politica internazionale, da sempre molto coinvolti nel dialogo Pristina-Belgrado. In base a quanto analizzato da Ispi, infatti, la visita di Borrell avrebbe riattivato una competizione geopolitica in cui gli Stati Uniti sarebbero tornati protagonisti dopo aver sostenuto Pristina nella guerra degli anni Novanta e nel suo processo di riconoscimento successivo al 2008, quando dichiarò unilateralmente la sua indipendenza. Nei giorni precedenti alla nuova formazione, infatti, Richard Grenell, inviato speciale americano per il dialogo Serbia-Kosovo, aveva visitato Pristina rimarcando l’impegno americano nella regione (e, di fatto, sottolineando l’immobilità dell’Europa).

Lo scambio di missive

Secondo quanto ricostruito, la visita del funzionario americano sarebbe avvenuta a pochi giorni di distanza da uno scambio di lettere in cui Belgrado e Pristina si sarebbero impegnate a ripristinare la linea di collegamento aereo tra le due capitali, a cui è seguito anche quello per la tratta ferroviaria. Patti percepiti (da tutti) come simbolici ma molto importanti, che saranno vincolati alla rimozione dei dazi e che potrebbero servire anche a rilanciare il ruolo americano nell’area. Da sempre considerata strategica.

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