Dal 20 marzo 2019, giorno in cui sono divenute effettive le dimissioni dello storico presidente e padre della nazione Nursultan Nazarbaev, il Kazakistan è entrato in una fase di transizione che potrebbe avere come esito la sua consacrazione definitiva a stato-guida dell’Asia centrale post-sovietica e colonna portante di ogni progetto di integrazione eurasiatica.

L’importanza del Kazakistan

Nur-Sultan, ex Astana, può aspirare ad un ruolo da protagonista sia negli “–stan” che nell’intera Eurasia perché è stata benedetta dalla geografia – vastità territoriale, clima continentale, steppe fertili, ricchezza del sottosuolo e sbocco su uno specchio d’acqua nelle cui profondità sono contenute grandi riserve di petrolio e gas naturale – e il dinamismo della classe dirigente nel dopo-Nazarbaev è da inquadrare in questo contesto di massimo leveraggio delle proprie potenzialità.

Chiunque voglia avere una voce in capitolo in Asia centrale necessita di un avamposto in Kazakistan, la prima potenza politica ed economica della regione, questo è il motivo per cui la Cina ha lottato affinché aderisse alla Nuova Via della Seta – suggestivamente annunciata da Xi Jinping ad Astana nel lontano 2013 –, e per cui Russia e Turchia ne hanno bramato l’ingresso rispettivamente nell’Unione Economica Eurasiatica e nel Consiglio Turco.

La dirigenza kazaka (ci) sta parlando

È errato credere che la partecipazione di Nur-Sultan ad iniziative prettamente asiatiche, e che strizzano l’occhio ad una visione multipolare delle relazioni internazionali, sia indicativa di una presunta volontà di circoscrivere il proprio spazio di prosperità all’Asia storica. La dirigenza kazaka, infatti, è aperta a collaborazioni costruttive con chiunque manifesti l’interesse per accordi di natura “win-win”, perciò sta muovendosi anche in direzione di un rapporto più stretto con gli attori del blocco occidentale o filo-occidentale, dagli Stati Uniti al Giappone, come dimostrato dalla serie di messaggi inviati al loro indirizzo nei tempi recenti.

Il Kazakistan sta tentando di attrarre (anche) l’attenzione del Nord globale attraverso l’intenso riformismo e la costruzione di un’immagine palatabile agli occhi dell’opinione pubblica occidentale. Le riforme stanno travolgendo ogni area e settore, dalla sanità all’istruzione e dalla scienza al benessere sociale, e stanno consentendo all’economia di viaggiare ad alta velocità per mezzo della capitalizzazione intelligente di risorse autoctone ed investimenti esteri.

Ad ogni modo, il messaggio più importante ed eloquente inviato all’Occidente reca una data precisa: 2 gennaio 2021, giorno in cui il presidente Qasym-Jomart Toqaev, ratificando il Secondo protocollo opzionale della convenzione internazionale sui diritti civili e politici, ha abolito de facto la pena di morte a Nur-Sultan. Urge sottolineare, comunque, come nel Paese fosse in vigore un bando silente dal lontano 2003, anno delle ultime esecuzioni.

L’entrata di Nur-Sultan nel club degli abolizionisti, frutto di una diplomazia cui ha preso parte anche l’Italia attraverso organizzazioni nongovernative come Nessuno tocchi Caino e la Comunità di Sant’Egidio, è fortemente indicativo del proposito della dirigenza kazaka di guardare anche ad Ovest e, inoltre, è avvenuto simbolicamente all’inizio dell’anno; fatto, quest’ultimo, che si presta ad una sola lettura: volontà di cambiamento.

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