La battaglia per il grano ucraino è ormai un tema di portata mondiale. Le cancellerie europee, mediorientali ma anche gli Stati Uniti stanno cercando di trovare una via per sbloccare la situazione dei porti e permettere ai cargo di partire. Ma tutto sembra estremamente complesso, visto che sulla possibilità o meno di esportare i cereali dai porti ucraini, si giocano partite diplomatiche e geopolitiche molto complicate.

La Russia conferma di avere apprezzato gli sforzi della Turchia. Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha incontrato l’omologo turco Mevut Cavusoglu per trattare su un possibile piano per consentire ai cargo di lasciare in sicurezza i terminali del Mar Nero.

Il negoziato c’è stato, ma il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha spento i facili entusiasmi dicendo che non è stato raggiunto alcun accordo tra Ankara e Mosca. La partita riguarda per adesso solo carichi di grano ucraino, non quello russo. Su quello che proviene dalla Federazione, infatti, il punto su cui batte Mosca è quello della rimozione delle sanzioni occidentali. Senza di esso, è difficile che si sia il via libera alle navi. Ma intanto le speranze si assottigliano. E nel frattempo, il problema è tutto su Africa e Medio Oriente, i più interessati allo sblocco dei carichi di cereali e dove Turchia e Russia hanno da tempo ramificato la loro rete di interessi strategici e di partnership politiche e militari. La stabilità di molti Paesi dipende in larga parte da quelle importazioni: farsene carico diventa pertanto anche un gioco di influenze a scapito di vecchie e nuove potenze “coloniali”.

La sfida riguarda anche l’Italia, che conosce bene i rischi derivanti da una crisi alimentare che potrebbe colpire Corno d’Africa, Sahel e parte del fronte sud del Mediterraneo. A Roma sono attive due diplomazie parallele, quella della Farnesina e quella di Oltretevere.

La prima è stata rilanciata anche con l’apertura del Dialogo Ministeriale Mediterraneo sulla Crisi Alimentare: un vertice voluto dal ministero degli Esteri, Luigi Di Maio, proprio per coinvolgere tutti gli attori della regione più sensibile a questo blocco dei porti. Di Maio non ha usato mezzi termini: “La Russia, usando il cibo come arma di guerra, si sta macchiando di altri crimini, che si aggiungono alle atrocità già commesse sul suolo ucraino e che sono sotto gli occhi di tutti”. E il vertice della diplomazia italiana ha ribadito il sostegno del governo “a tutti i tentativi di mediazione”.

Importante appare anche la sponda della diplomazia vaticana. La Santa Sede, accantonato per ora il ruolo di mediatore tra Russia e Ucraina e messo da parte il viaggio di Papa Francesco a Kiev, si è proiettato nel ribadire i suoi sforzi per una soluzione al pericolo di una crisi alimentare senza precedenti. Come ha raccontato Giuseppe Sarcina per il Corriere della Sera, da settimane ci sono contatti tra il Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, e il capo del dipartimento di Stato Usa, Antony Blinken. I due hanno anche avuto una conversazione telefonica nei giorni scorsi. Pochi giorni prima, il Papa aveva lanciato l’allarme sulla crisi alimentare chiedendo che “non si usi il grano, alimento di base, come arma di guerra”.

Un impegno che per la Santa Sede non è solo simbolico, rappresentando quanto di più aderente alla visione umanitaria dell’intervento diplomatico vaticano, ma anche estremamente concreto. La rete internazionale della Chiesa, permette ai vertici di essa di avere una consapevolezza molto chiara di cosa possa accadere qualora dovesse essere prolungato il blocco dei porti ucraini. I flussi migratori dall’Africa, da sempre al centro delle attenzioni del pontificato di Francesco, esploderebbero in maniera incontrollabile scatenando una reazione a catena dai contorni poco definiti ma immaginabili. E su questo punto, concordano tutti i leader coinvolti nella regione: dai monarchi del Golfo ai capi Stato e di governo europei fino, appunto, alla guida della Chiesa cattolica.

Proprio per questo motivo, il grano è uno dei punti più importanti degli incontri a Roma tra Francesco, Parolin, Richard Gallagher (segretario per i Rapporti con gli Stati) e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Insistere sull’apertura di corridoi di sicurezza che garantiscano il flusso di cereali dall’Ucraina è essenziale. E il Vaticano cercherà di portare avanti il suo piano di azione anche rilanciandosi come protagonista per la pace. La prima, la seconda e la terza Roma si ritrovano in un complesso meccanismo diplomatico per un bene ancora fondamentale nelle gerarchie umane: il grano. I piani d’azione sono diversi, certo. Ricatti, prospettive geopolitiche e interventi umanitari rappresentano binari il più possibile distanti tra loro, apparentemente incapaci di dialogare e di trovare una sintesi. Ma in una curiosa convergenza di interesse, il dialogo passa anche tra le “tre Rome”: ed è un dialogo che serve per evitare una catastrofe umanitaria. Washington osserva interessata: valuta l’impegno turco e sfrutta il canale con la Santa Sede, ma sa che è il Cremlino che può sbloccare tutto. La diplomazia è all’opera, ma la soluzione è soprattutto nelle mani di chi ha dato il via alla guerra.





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