Gli anni Dieci del Duemila hanno rammentato al pubblico occidentale, caduto in un sonno profondo nel dopo-Guerra fredda a causa del potere soporifero della fine della storia, quanto sia travolgente la forza della ricorrenza storica. Antiche rivalità che riemergono, scheletri che escono dall’armadio, asce di guerra che vengono disseppellite, competizioni egemoniche che si ripresentano sotto mentite spoglie, eventi che si ripetono e condottieri del passato che sembrano reincarnarsi. Questa è la storia: un profluvio invariabile e costante di inimicizie, antagonismi ed alleanze che si rinnovellano all’infinito, intrappolando l’Uomo in un ineluttabile ed eterno ritorno del passato, per dirla alla Nietzsche, che può essere soltanto navigato, ma mai aggirato.

Uno sguardo ai principali accadimenti degli anni Dieci (e Venti) del Duemila è sufficiente per comprendere la veridicità della tesi della ricorrenza storica: il ritorno della guerra fredda fra Stati Uniti e Russia, le riedizioni del Grande Gioco in Asia centrale e della corsa all’Africa, la riaccensione delle ostilità tra l’Occidente e la Cina, la ricomparsa delle guerre russo-turche, il recupero del legato ottomano da parte della Turchia e la recente grande rentrée del Cremlino nel continente nero.

L’Africa del ventunesimo secolo è (di nuovo) al centro del mondo, perché ne è l’ombelico, e piccole, medie e grandi potenze stanno quivi cercando di stabilire degli avamposti, che risultano più o meno fortificati a seconda del fuoco disponibile e delle aspirazioni serbate. È nel contesto della corsa all’Africa 2.0, a sua volta inquadrata all’interno della competizione tra grandi potenze, che vanno letti l’attecchimento della Cina, l’espansione della Turchia, la resistenza neocoloniale della Francia, ma anche l’accresciuto interesse da parte degli Stati Uniti e, ultimo ma assolutamente non meno importante, il novello sbarco della Russia, da qui ritiratasi con la fine della guerra fredda e qui riapprodata ufficialmente due anni or sono, con l’organizzazione del primo vertice Russia-Africa.

Russia Africa mappa

Verso il secondo vertice Russia-Africa

Il primo vertice dell’innovativo formato multilaterale Russia-Africa era stato organizzato nella popolare e rinomata città-resort di Sochi nel 2019, nelle giornate del 23 e del 24 ottobre, ed aveva soddisfatto ampiamente le aspettative e i pronostici degli organizzatori: partecipazione di 43 capi di Stato, presenza di tremila delegati, rappresentanti e imprenditori provenienti da tutti e 54 i Paesi africani, 12 miliardi e 500 milioni di dollari il valore degli accordi e dei memoranda siglati tra il Cremlino e gli invitati.

Dato il successo incontrovertibile dell’edizione pilota, la realizzazione di una replica, e possibilmente la sua trasformazione in un evento fisso e a cadenza regolare, era inevitabile. Era stato lo stesso Vladimir Putin, del resto, ad anticipare l’esistenza di preparativi in tal senso in occasione della video-conferenza internazionale “Russia-Africa: Reviving Traditions“, una due-giorni svoltasi nel marzo 2020 e concepita con l’obiettivo di mantenere attivo il canale di dialogo aperto a Sochi. Ad ogni modo, che fosse in corso una crescente prioritizzazione del continente nell’agenda estera russa lo si era compreso da alcuni eventi precedenti a Sochi 2019, tra i quali il tour africano di Sergej Lavrov del marzo 2018 e l’arrivo del sistema antiaereo Pantsir in Etiopia, Guinea ed Algeria.

La Russia in Africa: come, dove e perché

Divenuta la più grande area di libero scambio del pianeta agli esordi del 2021, l’Africa è la “nuova Asia”, il continente sulle cui potenzialità di fabbrica del mondo stanno scommettendo le potenze più aquiline della contemporaneità: dalla Francia, impegnata a proteggere la Françafrique, alla Cina, intenta a connetterla alla Nuova Via della Seta, passando per la Turchia, che ha ivi costruito avamposti dallo spazio ex italiano a Capo di Buona Speranza.

Quando si scrive di ritorno della Russia in Africa, si intende quest’ultima nella sua interezza: dalle estremità settentrionali, come Algeria, Libia ed Egitto, alle latebre poste a ponente (Nigeria) e levante (Sudan), senza dimenticare il termine meridionale, Capo di Buona Speranza. E perché le attività del Cremlino vadano esplicate in termini di ritorno, anziché di primo approdo, è fatto abbastanza noto: l’Unione Sovietica ha protagonizzato il continente africano dal secondo dopoguerra ai primi anni Novanta, contribuendo in maniera determinante alla fine degli imperi coloniali europei, alla foggiatura dell’attuale geografia politica e al condizionamento del pensiero e delle visioni del mondo di statisti ed eroi del panafricanismo come Patrice Lumumba, Thomas Sankara, Nelson Mandela, Sékou Touré e Kwame Nkrumah.

Ma perché la Russia è interessata alla “terza colonizzazione dell’Africa”? Innanzitutto, per ragioni di realpolitik – un aspirante egemone non può trascurare un teatro di competizione di primo livello – e poi per questioni di lungimiranza – avere un’influenza nel continente che si appresta a rubare allo scettro all’Asia quale fabbrica del mondo, che è affamato di investimenti e che ospita rispettivamente il 30% e il 7% dei giacimenti mondiali di risorse minerarie e gas naturale.

La ramificazione del Cremlino

Forte dell’invidiabile e pressoché unico passato di “potenza anticoloniale“, in un continente storicamente afflitto dalla piaga del colonialismo, la Russia ha fatto leva sin dai primordi sulla retorica dell’anti-imperialismo e dell’antioccidentalismo, modellando la propria strategia seguendo uno schema già collaudato (con successo) durante l’era sovietica – armi, non ingerenza, formazione e cultura – ed aggiornato in vista del mutamento dei tempi – arricchito di elementi quali energia, sicurezza, informazione, infrastrutture e minerario.

Presente in maniera crescentemente attiva nell’Africa orientale, dove sta investendo nel settore energetico etiope, la Russia è coinvolta nel potenziamento militare dell’Algeria, ha siglato fine a 2020 un accordo di partenariato strategico con l’Egitto e ha vinto la nomea di procuratore affidabile nella sfera securitaria grazie al Gruppo Wagner, i cui consulenti, addestratori – ed anche combattenti – sono stati inviati in almeno dieci nazioni, tra le quali Repubblica Centrafricana – dai 450 a più di 1000 –, Libia – circa 2.000 –, Zimbabwe, Angola, Madagascar, Guinea, Guinea Bissau e Mozambico.

La Russia, inoltre, gode del titolo di primo rifornitore di armamenti di Algeria, Egitto, Sudanrecord quivi detenuto da un ventennio – e Angola, e, nel complesso, domina il mercato delle armi del continente, essendo dietro al 37.6% delle vendite che si concludono annualmente. La seguono, con percentuali molto più basse, gli Stati Uniti, con il 16%, la Francia, con il 14%, e la Cina, con il 9%.

Strumenti del passato per il presente

Mosca, oggi come in passato, sta investendo sulla formazione della futura classe dirigente africana, offrendo borse di studio e spalancando le porte delle proprie università più prestigiose agli universitari africani. I numeri possono esplicare il quadro della situazione: fra il 2010 e il 2018 la presenza degli studenti africani nelle università russe ha registrato un incremento del 130%, passando da 6.700 iscritti a 15.000. I beneficiari dello schema appartengono principalmente a nazioni appartenenti agli ex spazi coloniali britannico e portoghese, come ad esempio Angola, Mozambico, Ghana e Nigeria.

Il piano del Cremlino è di aumentare il numero degli studenti africani nelle università ad un ritmo annuale del 12%, in maniera tale da superare e raggiungere il record sovietico dei 50mila entro il 2024 o il 2025. L’obiettivo non è irrealistico, visto e considerato il passato e il presente delle relazioni tra Mosca e l’Africa, e neanche è da sottovalutare: l’influenza culturale può essere capitalizzata geopoliticamente, se adeguatamente maneggiata, come ricordano e insegnano casi del passato (Unione Sovietica) e del presente (Turchia).