Comunque vada, quella di oggi sarà una giornata storica: la Germania va alle urne per chiudere ufficialmente il lungo periodo di permanenza alla Cancelleria federale di Berlino di Angela Merkel, che per la prima volta dal 2005 non si presenterà alla testa della sua Unione Cristiano-Democratica. La Merkel passerà il testimone nel pieno della risposta alla pandemia di Covid-19, negli anni cruciali per il futuro dell‘Europa “tedesca”, dopo un quadriennio che lungi dall’essere di ordinaria amministrazione hanno segnato un crescendo di sfide per la Cancelliera. Dopo il rilancio della Grande Coalizione con i socialdemocratici nel 2017 la Merkel ha dovuto fronteggiare la questione del rapporto complicato con gli Usa di Donald Trump, il fallimento della linea del rigore, l’ascesa della contestazione sovranista in Est Europa, l’aumento di problematiche connesse ai crescenti casi di disuguaglianza e povertà sul fronte interno, l’aumento dei consensi dell’estrema destra di Alternative fur Deutschalnd e, da ultimo, lo tsunami pandemico.

Il voto odierno, dunque, sarà al tempo stesso un voto per il post-Merkel e un voto sulla Merkel, un sostanziale giudizio su una lunga fase di consolidamento in cui la politica che meglio di altri ha rappresentato il sincretismo socio-culturale tedesco e ha interpretato l’animo austero e rigorista del Paese ha gestito il potere. La Germania anela un rafforzamento dello status quo di sostanziale benessere e più che immaginare grandi discontinuità per il futuro immagina consolidamenti del presente e sicurezza rispetto alle problematiche, pandemia in testa. Il tema principale del voto sarà dunque capire quali tra i front-runner della corsa avrà meglio interpretato l’immagine di erede della leadership rassicurante e moderata della Cancelliera. Figura che, nonostante limiti, errori e problematiche nella gestione del potere e profonde miopie sul fronte comunitario, ha mantenuto tassi di consenso elevati anche nella fase più critica della pandemia.

Margaret Thatcher tempo fa dichiarò che il più grande successo del suo Partito Conservatore fu la vittoria elettorale ottenuta nel 1997 dai Laburisti  britannici di Tony Blair su una piattaforma fortemente orientata alle ricette economiche neoliberiste da lei perorate al governo negliI Anni Ottanta; mutatis mutandis non sorprenderebbe se a raccogliere l’eredità della Merkel fosse il suo ministro delle Finanze nell’esecutivo uscente, Olaf Scholz, che coniugando il tentativo di ottenere l’immagine di continuatore del pragmatismo della Cancelliera, la rivendicazione della discontinuità sull’intervento anti-crisi e la nuova strategia europea della Germania e un bilanciamento tra le istanze governiste e le richieste della base di sinistra del partito ha rivitalizzato un Partito Socialdemocratico che pareva prossimo a una disfatta elettorale portandolo in cima ai sondaggi. La Cdu guidata da Amin Laschet appare, anche in coalizione con la Csu bavarese, in declino rispetto al 2017 per la debolezza della campagna elettorale del candidato e governatore del Nord Reno-Vestfalia, diverse gaffe e una fronda dell’ala più conservatrice e austeritaria verso l’eredità della Merkel, ma stando agli ultimi sondaggi avrebbe avvicinato nuovamente la Spd.

La sensazione è che, stando alle dinamiche politiche in atto, una quarta Grosse Koalition dopo che nei sedici anni dell’era Merkel è mancata solo per il periodo 2009-2013 rappresenterebbe una forzatura eccessiva per la politica tedesca. E che Cdu e Spd puntino a diventare alternativi per attrarre a sé il ruolo di accentratori in un governo con formazioni terze. Partiti pivot della contesa appaiono destinati ad essere i Verdi e i Liberali.

I Grunen di Annalena Baerbock coltivavano nelle scorse settimane ambizioni di governo ma hanno visto i loro sondaggi squagliarsi gradualmente, i consensi calare dal 25% al 15-18% e la candidata Annalena Baerbock incappare in una serie di incidenti, ultimo tra tutti il tentativo di sfruttare politicamente il caos seguito al disastro di luglio, mese in cui la Germania occidentale è stata funestata da devastanti alluvioni. Tuttavia, i Verdi sono destinati a un notevole incremento di consensi rispetto al 2017 e potrebbero tornare al governo come junior partner, in una coalizione a tre con un partito maggiore e l’ingognita Fdp. I Liberali mirano a confermarsi sopra la doppia cifra di cui li accreditano i sondaggi e portare al governo la voce della Germania austera e rigorista che la Merkel ha sopito nell’ultimo anno e mezzo e sul cui ritorno i Grunen e la Spd non scommettono.

La Germania che va al voto appare solida su alcuni versanti, come dimostrano le continuità di vedute tra i partiti in molti dossier, ma fragile su altri: le faglie che dividono il Paese sono tutt’altro che secondarie, alla vecchia divisione Est-Ovest se ne va aggiungendo una tra centro e periferia che ha il suo massimo punto d’espressione nella capitale Berlino. Città in cui parallelamente alle elezioni andrà in scena un referendum “sovietico” sull’espropriazione delle case e degli immobili a coloro che ne posseggono più di 3mila unità. Una mossa radicale che segnala tuttavia la presenza di forti disuguaglianze nel cuore del potere tedesco. Un cuore che è battuto a lungo al ritmo del pensiero e delle azioni di Angela Merkel. E che su ogni fronte, interno e estero, prova a non rimanere orfano della Cancelliera. Destinata a dominare le scene in un voto che potrebbe dividere la politica tedesca ma, al contempo, unificarla nella comune domanda che si porranno gli elettori chiamati ai seggi: chi potrà mai impersonificare nei prossimi anni ciò che per la Germnaie e l’Europa è stata Frau Angela? Una domanda che probabilmente resterà insoluta per i prossimi anni e che difficilmente troverà risposta nelle urne tedesche e nei lunghi mesi che serviranno per formare l’esecutivo.





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