Evitato, almeno per il momento, un clamoroso strappo tra gli Stati Uniti e Israele. Nei rapporti tra i due governi, nei giorni scorsi si è sfiorato un vero e proprio caso diplomatico. A pesare è stato soprattutto il progetto, portato unilateralmente avanti dal governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu, relativo alla costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania.

Il presidente Usa Joe Biden si è opposto al progetto. La Casa Bianca teme infatti che l’avvio di nuovi lavori nei territori palestinesi possa surriscaldare ulteriormente gli animi. La questione ha preso anche una piega politica, vista la proposta di risoluzione contro Israele portata avanti dagli Emirati Arabi Uniti in sede di Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ed è proprio all’interno del Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite che il progetto israeliano ha rischiato di rappresentare un momento di forte imbarazzo per la diplomazia Usa.

L’invito della Casa Bianca a evitare progetti divisori

Dopo l’attentato del 27 gennaio scorso avvenuto nell’area di Gerusalemme Est, il governo di Netanyahu ha annunciato l’avvio di nuovi progetti per la costruzione di almeno diecimila alloggi in Cisgiordania. Nuove colonie a tutti gli effetti, da impiantare come risposta alle azioni terroristiche della Jihad Islamica e ai proclami di Hamas. Ma anche un modo, per Netanyahu, di soddisfare le richieste delle frange più a destra della sua coalizione. Potere Ebraico e Sionismo Religioso, al governo assieme a “Bibi”, hanno promesso ai propri elettori risposte immediate. Particolarmente attivo in tal senso è stato nelle ultime settimane il ministro della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben Gvir. Quest’ultimo è anche il leader di Potere Ebraico e ha più volte proposto l’avanzamento di nuovi progetti edilizi in Cisgiordania.

Secondo la Casa Bianca però, una simile proposta non potrebbe fare altro che accendere ulteriori tensioni. Da qui l’invito, prima velato e poi pubblico, ad abbandonare almeno per il momento la costruzione di nuovi insediamenti. Dopo la passeggiata di Ben Gvir nell’area della Spianata delle Moschee a Gerusalemme, effettuata il 3 gennaio scorso e vista dai palestinesi come provocazione, Washington ha messo in guardia circa nuove azioni unilaterali da parte del governo israeliano. Sfiorando quindi un inedito strappo a livello diplomatico.

La mediazione in vista del Consiglio di Sicurezza

L’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) guidata da Abu Mazen, contro i nuovi progetti israeliani si è rivolta al governo degli Emirati Arabi Uniti. Abu Dhabi infatti al momento siede tra i 15 membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Il governo emiratino si è quindi mosso per portare al Palazzo di Vetro la questione. Nei giorni scorsi ha presentato una mozione mozione vincolante di condanna del progetto israeliano, con il voto fissato per questo lunedì. Gli Usa si sono trovati quindi stretti tra due insidie. Da un lato la volontà di ribadire la propria posizione al cospetto del governo israeliano. Dall’altro però anche la volontà di evitare di esercitare il proprio diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza. Nelle ultime ore è stato il Segretario di Stato Antony Blinken a spingere sulla via della mediazione.

Così come raccontato dal Jerusalem Post, Blinken ha parlato prima con Abu Mazen e poi con lo stesso premier israeliano Netanyahu. Al primo ha ribadito il sostegno degli Usa alla soluzione dei due Stati e al miglioramento delle condizioni di vita dei palestinesi. Al secondo, ha chiesto di congelare per il momento il progetto relativo ai nuovi insediamenti.

Il compromesso raggiunto, sempre secondo il Jerusalem Post, riguarderebbe una sospensione di almeno sei mesi da parte israeliana dei progetti edilizi in Cisgiordania. Così facendo, gli Emirati Arabi Uniti hanno ritirato la proposta di risoluzione Il voto, previsto per questo lunedì, è stato cancellato. Si tratta però di una tregua, il nodo sui nuovi insediamenti è stato rimandato alla prossima estate.

La diffidenza di Washington verso parti dell’esecutivo di Netanyahu

Ma la vicenda relativa alle nuove colonie è soltanto l’ultima di una lunga serie di tensioni tra gli Stati Uniti e lo Stato ebraico. Lo testimonia anche la contrarietà della Casa Bianca, emersa nelle ultime ore, alla riforma della giustizia che sta portando avanti Netanyahu alla Knesset, il parlamento israeliano. Una riforma che legherebbe maggiormente la magistratura all’esecutivo: “L’unica cosa che unisce i nostri Paesi è un senso di democrazia e un senso dell’importanza delle istituzioni democratiche – ha dichiarato in una nota l’ambasciatore Usa in Israele, Tom Nides – Tra il 50 e il 60 per cento degli israeliani si oppone ai piani di rinnovamento giudiziario del governo, un giudizio che certamente appartiene anche agli ebrei americani”.

Le tensioni riflettono soprattutto la diffidenza della Casa Bianca verso le frange più a destra della maggioranza di Netanyahu. Prima del voto, dal Dipartimento di Stato Usa si erano levate voci a favore di un boicottaggio delle relazioni con i ministeri guidati da Potere Ebraico e Sionismo Religioso. Non è arrivati, almeno per il momento, a scelte così drastiche. Appare chiaro però come, da parte della presidenza Biden, si stia cercando di fare pressione per mitigare le mosse del governo israeliano giudicate più controverse.

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