Quattordici è il numero dei colpi di stato, riusciti e tentati, che hanno avuto luogo nel Sahel e dintorni equatoriali fra il 2020 e il 2023. Alcune di queste detronizzazioni sono catalogabili come faccende domestiche risolte manu militari, come nel caso saotomense, ma la maggior parte è da inquadrare nel capitolo africano della competizione tra grandi potenze: lo scramble for Africa 3.0.

Gli ultimi due episodi che hanno investito l’Africa, che sono avvenuti a poco più di un mese di distanza l’uno dall’altro, hanno coinvolto il Niger e il Gabon, due paesi-chiave per l’Eliseo all’interno della cosiddetta Françafrique. E c’è un motivo se soltanto la giunta nigerina è stata colpita da sanzioni dell’Unione Europea ed è finita nell’elenco dei sorvegliati speciali della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale: il golpe gabonese è stato consumato con la benedizione di Parigi.

Non tutti i golpe vengono per nuocere

Libreville, alba del 30 agosto 2023. Le forze armate prendono il controllo delle infrastrutture strategiche e mettono agli arresti il presidente Ali Bongo, al potere dal 2009, per poi annunciare in televisione che è stato consumato un colpo di stato. La reazione dei gabonesi è indicativa del malcontento serbato nei confronti della famiglia Bongo: folle festanti scendono in piazza nell’ordine delle centinaia, che poi diventano migliaia, infine decine di migliaia, sventolando il tricolore nazionale, cantando e ballando.

Nel Gabon è festa per una giornata intera. I Bongo, una dinastia che tiene sotto scacco il paese dai primi anni Sessanta, per la popolazione immiserita sono sinonimo di brutalità, clientelismo, corruzione, frodi elettorali, nepotismo e asservimento a poteri stranieri, storicamente identificati con Francia e Regno Unito. Era dal 2019, anno di una sollevazione rapidamente sedata (nel sangue) dai militari fedeli al presidente, che i gabonesi attendevano questo momento.

La caduta di Ali, figlio di Omar, fa il giro del villaggio globale in qualche ora. Conclusioni affrettate, influenzate dagli accadimenti nel vicino Sahel e dall’idea distorta che l’Africa sia un unico ed enorme calderone, inducono i più in errore: a Libreville sarebbe stato l’ennesimo golpe antifrancese. E così è sembrato per alcuni giorni, dopo di che è la verità è venuta a galla.



Bongo è stato vittima di una congiura di palazzo pianificata e tradotta in realtà con l’aiuto, o con l’approvazione, dell’Eliseo. Il golpe gabonese non sarebbe stato né un redde rationem interno né un complotto russo o cinese, bensì un’opera di Parigi. Motivo: i radicali cambi di rotta in politica estera di Bongo, che da tempo flirtava con Pechino e che allo scoppio della guerra in Ucraina aveva scelto di schierarsi con Mosca.

Bongo era diventato inaffidabile agli occhi della Francia, tra “voti filorussi in sede Onu sulle risoluzioni inerenti la guerra in Ucraina, importazioni di armamenti russi, relazioni molto cordiali con Putin e accordi per approfondire la cooperazione con la Russia”. E non meno problematico, per Parigi, era il rapporto adamantino tra i Bongo e il Partito Comunista Cinese: sedici i viaggi a Pechino di Omar e Ali fra il 1967 e il 2023, dodici i soggiorni gabonesi di leader e ufficiali cinesi dal 2000.



Bongo siedeva su un trono d’argilla: consenso popolare ai minimi storici, esercito insofferente, linfa vitale provveduta primariamente da capitali francesi e britannici. La decisione di rafforzare i legami con Mosca e Pechino oltre il limite del consentito, forse proprio nel tentativo di ridurre l’influenza anglo-francese negli affari interni – emblematizzata dalla “presenza imposta” del bianco Lee White a gestire le risorse naturali gabonesi –, si è rivelata fatale.

Parigi non poteva permettersi di perdere (anche) Libreville, non dopo aver assistito inerme alla caduta di Niamey, perché sussisteva il rischio concreto di un effetto domino nel resto della logora Françafrique. Speculazioni che hanno trovato riscontro fra il 4 e il 7 settembre, quando il presidente ad interim gabonese ha fornito a Parigi garanzie sulle intenzioni della giunta e il portale Africa Intelligence ha prodotto uno scoop rimasto curiosamente, ma non sorprendentemente, in sordina: Bongo e Xi avevano concluso segretamente un accordo per l’apertura di una base cinese nel Gabon, che il golpe avrebbe fatto saltare.

Le dichiarazioni della giunta e le indiscrezioni ottenute da Africa Intelligence, corroborate dall’assenza di attenzione mediatica e dalla morbidezza delle reazioni diplomatiche del vicinato e delle potenze occidentali, sono la prova indiziaria che il rovesciamento gabonese non è imparentato con quelli avvenuti precedentemente lungo la coup belt: è un golpe che non nuocerà (a Parigi).

La guerra tra Afriche

Immenso contenitore di risorse naturali strategiche, dai combustibili fossili alle terre rare, e pentola a pressione ad alto rischio esplosione, tra boom demografico e cambiamento climatico, l’Africa è uno dei continenti in cui si deciderà il destino di alcuni dei capitoli più importanti della competizione tra grandi potenze, in particolare la corsa tecnologica e la transizione verde.

Nel Niger ha avuto luogo un golpe ordito da una Russia all’inseguimento di obiettivi geoeconomici, gas e uranio, e geostrategici, il controllo delle rotte migratorie illegali. Nel Gabon è stato consumato un colpo di stato, pianificato o approvato dalla Francia, per sostituire un despota inaffidabile con una giunta amica. Entrambi i casi si contestualizzano nello scramble for Africa 3.0, i cui protagonisti sono Francia, Russia e Cina.



La detronizzazione di Bongo sembra indicare che una base cinese sull’Atlantico sia la linea rossa della Francia. Se così fosse, la Cina dovrebbe attendersi tentativi di sgambetto anche in Guinea Equatoriale, dove da tempo si vocifera di trattative sottobanco sul tema, e aumenterebbero le probabilità di tornei di ombre nel resto della costa occidentale.

A lungo in ritirata, testimone inerme di colpi di stato all’interno della sua storica sfera di influenza, la Francia ha utilizzato il Gabon per mandare un messaggio: la contesa per l’Africa è tutt’altro che chiusa e da Libreville potrebbe partire lo svecchiamento della Françafrique. Lo scramble for Africa 3.0 è appena cominciato.

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