Bali caput mundi, nella due giorni del G20 indonesiano anticipata dall’incontro tra Joe Biden e Xi Jinping, primo dall’ingresso dell’ex vice di Barack Obama alla Casa Bianca. Quello che va in scena in Indonesia nella località di Nusa Dua è sicuramente il più importante summit internazionale dai tempi della Guerra Fredda.

Un summit che inaugura il nuovo bipolarismo

Il summit del G20 si era riunito in forma molto conviviale a Roma nel 2021 alla presenza di Mario Draghi: una passerella più “occidentale” che globale, un ultimo saluto a Angela Merkel, prese di posizioni sul cambiamento climatico, nessuna consapevolezza dell’imminente tempesta d’Ucraina in arrivo. Il 15 e il 16 novembre invece bisognerà parlare di alta politica e farlo in forma sistemica.

In primo luogo perché è il summit in cui il nuovo bipolarismo imperfetto che regge il disordine globale viene conclamato ma al tempo stesso presentato come un dato di fatto che condiziona il contesto internazionale. Stati Uniti e Cina vogliono regolare al meglio la loro rivalità, inasprendola anche laddove necessario (pensiamo alla guerra dei chip) ma non saltando le occasioni di confronto.

L’assenza di Putin spicca

In secondo luogo perché l’assenza di Vladimir Putin conferma, dopo la performance in chiaroscuro del vertice euroasiatico di Samarcanda, le difficoltà del Cremlino e gli impatti diplomatici globali della guerra in Ucraina.

Assieme a Jair Bolsonaro, uscente dopo la sconfitta elettorale in Brasile con Lula, e al messicano Andres Miguel Lopez Obrador, Putin sarà tra i tre leader invitati che mancheranno al summit e ha inviato Sergej Lavrov in sua rappresentanza in qualità di ministro degli Esteri. Dopo aver subito pressioni da parte di Narendra Modi, premier indiano e capo di un Paese storicamente affine alla Russia, a Samarcanda per un’uscita rapida dal conflitto, dopo aver stracciato l’accordo sul grano mediato da Recep Tayyip Erdogan e soprattutto dopo la ritirata da Kherson Putin non vuole che il G20 marchi un nuovo punto di difficoltà per la diplomazia di Mosca. Palla dunque al diplomatico delle missioni impossibili, Lavrov, perché faccia da portavoce e parafulmine.

L’Indonesia rende il G20 davvero globale

Terzo punto, sarà forse il primo G20 veramente globale. In cui, cioè, anche nazioni estranee all’Occidente e ai suoi interessi geostrategici primari giocheranno un ruolo di testa di ponte. Il fatto stesso che ciò accada quando il G20 è ospitato dall’Indonesia lo conferma. Nel tentativo di rimanere neutrale in un conflitto emergente tra superpotenze, l’Indonesia sta tornando a una tradizione più antica e dopo il passaggio di consegna del gonfalone del G20 tra Draghi e il capo di Stato Joko Widodo ha interpretato attivamente il ruolo di presidente di turno del G20. Giacarta ha una lunga e consolidata tradizione diplomatica: ha svolto, infatti, un ruolo chiave nella fondazione del movimento dei paesi non allineati alla conferenza di Bandung del 1955 e oggi vuole portarne la fiaccola nel quadro della “Guerra Fredda 2.0″. “L’istinto di fondo dell’Indonesia e di molte altre nazioni non occidentali che si riuniranno a Bali rimane lo stesso: navigare nelle tensioni tra le superpotenze ed evitare di iscriversi a entrambi i campi”, sottolinea il Financial Times.

“In termini geopolitici”, prosegue il quotidiano della City, “l’Indonesia rimane una sorta di gigante addormentato“, nonostante le enormi dimensioni demografiche e l’estensione geografica del paese, chesi estende su quattro fusi orari.

Widodo “non tradisce alcun accenno all’aspirazione di essere una superpotenza – o addirittura l’egemone regionale del sud-est asiatico. Preferisce invece sottolineare l’impegno del suo paese nei confronti dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico”. Per il Ft “in un’epoca di politica dell’uomo forte e di nazionalismo aggressivo tra grandi potenze, la modestia e il multilateralismo del leader indonesiano apportano un cambiamento rinfrescante”, come del resto Widodo ha provato a argomentare aprendo a dialoghi tanto con Putin quanto con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Come sarà la globalizzazione?

Infine, quarto punto, dal G20 attuale capiremo come sarà la globalizzazione post-Ucraina, sempre più competitiva e caotica. Capiremo il peso di attori come l’India, che prenderà il gonfalone del G20 per ospitarlo a Nuova Delhi nel 2023, a cavallo tra Cina e Usa; capiremo che margini di manovra ha l’Europa: per Olaf Scholz, Giorgia Meloni e Rishi Sunak sarà il primo G20 da capi di governo e andrà compresa la capacità d’azione delle nazioni del Vecchio Continente oltre la loro adesione al campo atlantico filo-Usa, ad oggi inferiore rispetto a quella dei padroni di casa o della Turchia; si metterà alla prova la centralità internazionale di Recep Tayyip Erdogan e della strategia di Ankara del “piede in più scarpe”; si disegneranno traiettorie sull’energia (presenti Mohammad bin Salman per l’Arabia Saudita e Mohammad bin Zayed per gli Emirati Arabi Uniti) e la transizione.

In altre parole si testerà la delicata sovrapposizione tra politica internazionale e human diplomacy che plasma l’era contemporanea. La vecchia Guerra Fredda era forse più bloccata nei modi e nei dialoghi e evitava l’imprevedibilità odierna, ma mancava di questi summit di confronto.

Il bilaterale Xi-Biden testimonia che tra i leader c’è voglia di confronto e dialogo per mettere a terra le prospettive politiche del nuovo ordine internazionale. Ma ci sarà un’analoga volontà di risolvere i problemi? Tra crisi economica, inflazione, caro energia, guerra in Ucraina, tensioni sparse dalla Libia a Taiwan, un Sud globale in fermento e una guerra asimmetrica tra grandi potenze c’è necessità di mettere ordine nel caos e di dare nuova linfa alla stessa occasione di incontro del G20, nato nel 2008 proprio per ovviare ai problemi di una crisi mondiale come quella finanziaria sdoganata dal crollo di Lehmann Brothers. Anche la pandemia è passata senza che si mettesse a regime un sistema di convivenza e appianamento delle rivalità internazionali. La guerra in Ucraina ha aggiunto entropia: in gioco nelle plenarie e nei bilaterali di Bali c’è il concetto stesso di comunità internazionale. Messo sotto stress in continuazione e oggi chiamato a dare piena espressione di sé. Pena la spaccatura totale delle nazioni e l’aumento delle crisi internazionali.

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